Finte cause civili per truffare i clienti: arrestati tre avvocati

MESSINA – Sono finiti ai domiciliari quattro persone, un ex avvocato del Foro di Messina e due avvocati di Catania: ad eseguire la misura cautelare i carabinieri.

L’ex avvocato di Messina era stato radiato da 14 anni: insieme ai tre in arresto anche un procacciatore di affari. I soggetti sono accusati di associazione per delinquere finalizzata alla truffa.

L’inchiesta, coordinata dalla Procura di Messina, è stata condotta a partire dal 2013 dai militari della Compagnia di Taormina e dai carabinieri della sezione di polizia giudiziaria presso la Procura.

I soggetti interessati sono: Vincenzo Vanaria, 58enne di Giardini Naxos, ex avvocato, “promotore ed organizzatore dell’associazione a delinquere”; Carmelo Paterini, 56enne di Savoca, con il ruolo di procacciatore delle vittime; Cinzia Tavano, 48enne di Giardini Naxos, avvocato del foro di Catania, secondo gli inquirenti “partecipe dell’associazione”; Domenico Risiglione, 60enne di Motta Sant’Anastasia, avvocato del foro di Catania, anche lui “partecipe dell’associazione”.

Dalle indagini è emersa una vera e propria struttura criminale piramidale al cui vertice c’era Vanaria che dava agli altri le direttive da seguire. In particolar modo l’ex avvocato, con la complicità dei  due legali catanesi e di una terza persona che si occupava di trovare le potenziali vittime, convinceva le vittime a elargire cospicue somme di denaro contante senza tuttavia far seguire a ciò nessuna delle azioni giudiziarie progettate.

Paterini svolgeva il compito di ricerca della clientela attirata tramite una associazione paravento, la “Feo – Progetto Benessere”. Tavano e Risiglione ricevevano da Vanaria i mandati per intentare le cause e le istruzioni da seguire sulla gestione delle azioni legali.

È per questo motivo che gli investigatori parlano di un sistema di truffe ben collaudato e seriale che seguiva uno schema che ha portato nel tempo a intascare denaro sia contante che in assegni: somme che venivano date come parcella  di una finta attività legale a svolgere.

A essere adescati soprattutto soggetti con problemi di tasse, indebitati con l’Erario o con difficoltà nel pagamento di mutui e altre incombenze rateali. Il gruppo, infatti, faceva credere di avere la possibilità concreta di ridurre il debito o la restituzione di gran parte dei soldi fino allora corrisposti dai debitori in vista del “miraggio” di una condanna della banca per anatocismo e per applicazione di tassi usurari.

Vanaria, nel momento in cui entrava in contatto con le vittime, faceva credere di un esperto in cause del genere: prospettava, infatti, agli interlocutori rapidi e sicuri successi nelle cause da intraprendere. Vanaria a volte si spacciava per avvocato ancora in attività, altre per coordinatore di un “pool” di legali e, dopo aver illustrato le azioni da intraprendere, adoperando tecnicismi giuridici – ai più poco comprensibili – provvedeva a chiedere ai clienti il denaro sostenendo che sarebbe servito per il pagamento dei contributi unificati e delle sole spese vive legate alle pratiche e rassicurando le vittime che per il patrocinio non avrebbe chiesto nulla visto che sarebbe stato ripagato dalle sicure condanne delle controparti.

I due legali del foro di Catania entravano in scena solo alla fine: Tavano e Risiglione ricevevano incarico dal Vanaria e le vittime firmavano questo incarico in bianco proprio davanti al Vanaria.

Nel momento in cui i clienti dopo non ricevevano risultati, chiedevano spiegazioni: a quel punto gli avvocati Tavano e Risiglione, che fino ad allora non avevano intrattenuto alcun rapporto diretto coi loro assistiti, sistematicamente rinunziavano ai mandati. Così Vanaria prometteva di ritornare i soldi chiedendo le coordinate bancarie e dimostrando disponibilità alla restituzione del denaro senza mai in realtà farlo.