Il dato referendario è chiaro, netto, implacabile. La Sicilia, seppur con una delle affluenze più basse d’Italia, ha bocciato Renzi e a cascata il governatore Crocetta che si era speso timidamente per il sì.
Il 71,58% dei siciliani, una maggioranza quasi bulgara, ha barrato la casella del no.
Nonostante le polemiche sulle matite copiative (in realtà una vera e propria bufala che però ha alimentato una miriade di sospetti di brogli specie sui social network) il fronte antirenziano ha prevalso e già adesso tutti i deputati regionali, i futuri candidati e i segretari di partito stanno aprendo profonde riflessioni in vista delle prossime elezioni isolane del 2017.
Il premier ha commesso l’errore di personalizzare troppo la tornata referendaria e già ieri sera ha annunciato le sue dimissioni. La patata bollente, adesso, è in mano ai dirigenti locali del Pd costretti a fronteggiare la marea del “no” con i grillini che si sfregano le mani dinanzi a una imminente prospettiva di governo.
In Sicilia nelle maggiori città (Palermo, Catania e Messina) il voto contrario ha toccato mediamente punte del 70% e l’isola si confermerà ancora una volta laboratorio politico. Crocetta, Ncd e gli altri alleati si stanno leccando le ferite e il Pd si troverà a ingaggiare una lotta durissima per la sopravvivenza. Sarà ancora Saro da Gela il candidato ufficiale oppure si punterà su una figura “nuova”? Qualche settimana fa qualcuno dava in ascesa la figura del sindaco di Lampedusa Giusi Nicolini, portata da Renzi alla Casa Bianca in visita all’uscente Obama.
In questo quadro gongolano i grillini che puntano prepotentemente alla leadership regionale, complice un centrodestra troppo frammentato e che non è riuscito sinora ad imporre un’alternativa credibile.
In queste ore si sprecano i fiumi di inchiostro dei comunicati stampa dei leader regionali per commentare la disfatta renziana ma il quadro ancora nei prossimi giorni sarà molto mutevole e non sono da escludere clamorosi riposizionamenti. E’ la politica bellezza!