Per una classifica sono agli ultimi posti, per un’altra guadagnano terreno. È il quadro in chiaroscuro delle università siciliane, monitorate assieme agli atenei italiani dall’annuale report de Il sole 24 ore e dallo stesso ministero dell’Istruzione, che con un decreto emanato pochi giorni fa ha assegnato i fondi pubblici destinati all’istruzione accademica.
Secondo l’analisi del quotidiano economico, su un totale di 61 istituzioni, Messina si trova al 39mo posto, Palermo al 55mo e Catania al 56mo. A pesare sulla sorte delle università isolane sono alcuni indicatori scelti da Il sole 24 ore che penalizzano giocoforza le realtà isolane. Su tutti i criteri relativi ad attrattività (ossia la capacità di attirare studenti da altre regioni) e fondi esterni (ossia gli investimenti da parte dei privati).
Al momento i vertici di Unict non hanno potuto fornire alcuna risposta, dato che tra poco meno di un mese si svolgeranno le elezioni che decideranno il nome del nuovo rettore etneo. Probabilmente il tema delle classifiche verrà affrontato nel corso dei dibattiti elettorali tra i tre candidati che dovranno tenersi nelle prossime settimane. Fabrizio Micari, rettore dell’ateneo di Palermo, dal canto suo si è concentrato sulla questione dei fondi esterni. “La realtà economica e finanziaria della Sicilia non mi pare che possa consentirci di trovare nel territorio o fuori aziende che decidano di investirli a Palermo oppure a Catania“, ha dichiarato al Tgr Sicilia della Rai.
Altra classifica, di certo più consistente e attesa, è invece quella del Miur che ha assegnato la quota premiale relativa al Fondo di finanziamento ordinario destinato alle università italiane. E qui le realtà isolane fanno segnare numeri positivi: Catania guadagnerà in percentuale il 9.1 in più rispetto al 2015 e Palermo il 9.7. Ma è Messina a balzare al secondo posto nella lista nazionale, con ben 37.3 per cento in più di fondi.
La quota premiale viene stabilita dal ministero guidato da Valeria Fedeli sulla base della valutazione della ricerca dell’Anvur, l’Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca. I dati utilizzati quest’anno sono quelli della Valutazione della qualità della ricerca (Vqr) del quadrienno 2011-2014; fino allo scorso anno i dati erano quelli del 2004-2011.
La nuova valutazione non è stata ancora pubblicata ufficialmente, ma nella sua complessità viene contestata aspramente da molti fronti del mondo accademico. Lo scorso anno i docenti universitari hanno dato vita a un pesante boicottaggio della Vqr e proprio Catania è stato uno degli atenei nei quali la protesta ha registrato maggiori adesioni.
La lettura delle percentuali, sostengono i detrattori di questo sistema di valutazione, non è così netta come i numeri potrebbero indurre a fare. A intervenire sulle classifiche dei due quadrienni contribuisce il cambio della scala dei valori utilizzata, che propone l’illusione di una rimonta così netta degli atenei meridionali rispetto al quadro precedente. Di certo resta il dato di una spesa pubblica per l’istruzione che negli scorsi anni ha visto l’Italia all’ultimo posto in tutta Europa per i fondi investiti, soprattutto nella formazione accademica.