La cronaca degli ultimi giorni ha riportato in primissimo piano la lunga e drammatica scia sismica che ormai dalla scorsa estate sta martoriando l’Italia centrale.
Purtroppo, com’è noto anche la Sicilia è una terra a forte rischio e se la storia più recente richiama subito alla mente gli eventi del 28 dicembre 1908 a Messina e del 15 gennaio 1968 nella Valle del Belice, proprio in questi stessi giorni si è celebrato il trecentoventiquattresimo anniversario del più devastante terremoto mai registrato sul suolo italico (magnitudo 7,32), quello che domenica 11 gennaio 1693 sconvolse la Sicilia Sud – Orientale, preceduto due giorni prima da un’altra scossa di intensità significativa.
Nel 1697 a Venezia, Paolo “Silvio” Boccone – botanico palermitano, nobile di famiglia ed religioso come buona parte degli eruditi del suo tempo – pubblicava il suo MVSEO DI FISICA E DI ESPERIENZE, una raccolta di quarantasei osservazioni dedicate a svariati argomenti di carattere per lo più scientifico, le prime quattro proprio al nostro sisma, allora recentissimo:
«[…] Due furono i Terremoti horrendi in queste parti l‟anno 1693. à 9. Gennaro ad hore cinque in circa della notte seguente, che dessolò quasi tutti gli edificij di Campagna, fra quali correa vn gran numero di altissime, e robustissime Torri, & altri Casamenti di mezzana altezza; demolì in gran parte la Città di Catanea, & altre Città, e Terre di questo Val di Noto, e conquassò molti edificij di questa Città di Siracusa senza alcuna ruina, a questo non precedette alcuno effetto, ne meno la solita offuscazione dell aria, ma vna placida Serenità, e qualche giorno di caldo più sensibile d‟ogn‟altro tempo, per essere di Gennaro, e fuori di staggione, però non hebbe dello straordinario, né dell‟eccessivo […]
L‟altro fù alli 11. del medesimo Gennaro ad hore 21. in circa, questo fù stupendo oltre la considerazione umana, di durata in circa quattro minuti con fieri dibattimenti, e di tanto risalto, che non era possibile mantenerli chiunque in piedi acceppato con le piante in vn’medesimo luogo senza far moto, e chi si buttò a Terra con tutto il corpo, fù portato dalle scosse da vn luogo all’altro, strisciando il Terreno, e s’intendeva spingere al moto contrario, come tirato a forza, ò portato dall’onda, nuotando, e con maggior violenza.
Il Mare nelle parti dov’era aperto si ritirò considerabilmente, esse parti, & altri seni rinchiusi a proporzione.
In molte contrade si apprì la Terra, formando fissure lunghissime, e larghe dove vna aperta di Mano, dove poco più, e dove fece voragini nelle parti bassissime mezzo palmo, dà dove scaturì l’acqua, in abbondanza, inondando grande spazio di Terreno; e chi si trovò vicino à queste aperture intese spirare il fetore del Zolfo.
[…]
Nella Città di Noto per spatio circa mezzo miglio vi è vna selcciata per commodità delle Cavalcature, la quale hoggi si vede subbissata, e tutta intiera appesa ad’vno de’suoi lati, come vn Muro quasi alla dritta, & vn’altra più innanzi alla salita, chiamata del Durbo, si aprì in tanta larghezza; che si inghiottì nell’hora del Terremoto vn huomo a Cavallo, dove morì.
Dalle Montagne si distaccarono rupi smisurate per tutto, queste nella Terra di Sortino, habitata da sei mila anime furono cagione, rotolandosi per le case, che le stavano sotto, di recare la morte a gran quantità di persone.
[…]
In ogni parte abbissarono infinite grotte fatte ò dalla Natura, ò formate dall’Arte per vso, e commodità degli huomini, ò per ricetto degli Animali.
In Siracusa, & altri luoghi di Marina in molti Pozzi, che haveano l’acqua salsa divenne dolce senza, che sin’hoggi havesse mutato di qualità, ondesene vagliono a tutti gli vsi, & anco del bere.
Il Fonte Aretusa nella medesima Città per alcune settimane mandò le sue acque tanto salmastre, che li cittadini non sene poterno seruire, & hora, che sono addolcite, restando alquanto salate però assai più abbondanti. In molti luoghi, ancorche piani, risaltarono mura altissime, lunghi da pedamenti due, e più passi, lasciando libero, e netto delle rovine quello spatio, come fossero state spinte a viva forza, e due striscie, ò lenze di muro in Siracusa vno saltato nella maniera inferita, restò in piede lontano del pedamento, & vn’altro distaccandosi dal muro compagno, che ambi constituivano due lati d’vna Casa Terrana, voltò in tal forma, che fece l’angolo al rovescio, e restò alla diritta con maraviglia di chi l’osserva per la stravaganza dell’accidente […]»
Il virgolettato è tratto dall’osservazione seconda datata 10 settembre 1694.
Il ricordo di quel drammatico evento è ancora assai vivo nelle popolazioni del Val di Noto, non solo per l’elevato numero di vittime (circa sessantamila) che i documenti e le cronache del tempo come quella qui riportata permettono di ricostruire, ma anche perché forse ancor più degli altri terremoti di magnitudo elevata che in precedenza avevano colpito quello stesso territorio già nel 1542 e ancor prima nel 1169, di cui resta memoria ben più labile, il sisma del 1693 segnò una vera e propria cesura.
Alcune città – fra cui la stessa Noto – vennero ricostruite in un sito diverso dal precedente; a Ragusa si ebbe uno scisma fra gli abitanti seguaci di San Giorgio che decisero di ricostruire l’abitato sulle rovine della collina di Ibla e i seguaci di San Giovanni che decisero di impiantarsi sull’antistante pendio del Patro, precedentemente disabitato; in molti altri casi si ricostruì sulle rovine. Solo alcune tra le sparute testimonianze architettoniche precedenti quella data sopravvissero, talora inglobate nelle nuove costruzioni, croce e delizia di archeologi e storici che dedicano le loro ricerche allo studio dello status quo ante.
Animata dalla voglia e dalla necessità di ricominciare delle sue genti, la Sicilia Sud-Orientale divenne un vero e proprio laboratorio artistico sperimentale in cui il barocco romano trovò la sua magica evoluzione nel Tardo Barocco del Val di Noto, grazie all’ingegno di alcuni fra i più importanti architetti ed artisti dell’epoca, capaci di interpretare con garbata eleganza le potenzialità degli effetti chiaroscurali tra la luce cristallina del Sud-Est siciliano e i colori naturali delle rocce locali.
Un inno alla vita per onorare le vittime, per dimenticare la devastazione, per continuare a vivere, persino per alimentare civettuole ostentazioni di potere economico e di buon gusto fra le famiglie nobili dell’epoca: così, in pochi decenni vennero innalzati innumerevoli palazzi, centinaia e centinaia di chiese, sorse quella Sicilia dal 2002 inserita dall’U.N.E.S.C.O. nelle liste del Patrimonio dell’Umanità e che fa insieme da scenografia e da coprotagonista alle indagini del Commissario Montalbano (e non solo!), alimentando un mercato turistico crescente che offre sempre più opportunità di lavoro ai discendenti di chi visse i fatti del 1693 e della successiva rinascita. A volte, dalla morte nasce la vita.