Croci di sangue e fiori da morto: così la mafia terrorizzava i Nebrodi

conferenza stampa operazione Nebrodi
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Croci disegnate e nomi scritti con il sangue dei suini che avevano ucciso, mazzi di fiori che anticipavano le future ghirlande dei funerali di chi opponeva resistenza, agguati in pieno centro cittadino con gravi ferite (a Cesarò un orecchio quasi staccato a chi si opponeva, per una “lezione esemplare”): era con queste modalità che la mafia dei pascoli alimentava il clima del terrore sui Nebrodi.

L’obiettivo era quello di far cedere centinaia di ettari di terreno ai legittimi proprietari per ricavarne un duplice vantaggio: acquisire i fondi europei (da 40 a 50 mila euro l’anno) oltre al prezzo non certo di mercato con il quale se ne impossessavano.

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Non c’era alcuna possibilità di libere iniziative economiche, ma qualsiasi attività doveva ottenere l’assenso del clan ed assieme all’autorizzazione occorreva dare un contributo mensile. Una vera “cappa di violenza” (così l’ha definita il procuratore Zuccaro) che aveva terrorizzato le persone, quelle direttamente colpite dai mafiosi ed anche tutte le altre che vivevano in queste zone.

Così si spiega l’omertà diffusa e resistente che hanno incontrato i carabinieri del comando provinciale di Messina, quelli del ROS, che hanno collaborato con straordinaria convergenza di intenti con la procura della repubblica di Catania. Sì di Catania, perché il principale artefice di questa organizzazione, Turi Catania, agiva in territorio di Bronte, anche se aveva un’alleanza strategica con i Pruiti che controllavano la zona messinese dei Nebrodi.

Iacopo Mannucci Benincasa col. CC ME
Iacopo Mannucci Benincasa, comandante provinciale dei carabinieri Messina

Un quadro dettagliato ed estremamente esemplificativo delle particolari avverse condizioni in cui hanno dovuto agire i rappresentanti dello Stato,, quello esposto dal procuratore della Repubblica, Carmelo Zuccaro, e dal comandante provinciale dei carabinieri di Messina, colonnello Iacopo Mannucci Benincasa, con l’ausilio del comandante dei ROS e del sostituto procuratore catanese che è stato l’estensore materiale del provvedimento che ha portato all’arresto di 9 presunti mafiosi.

Qualcuno ha raccontato perfino nei dettagli le diverse azioni che i malavitosi avevano posto in essere, ma nessuno, però, aggiungeva che li riguardava personalmente. Così come è emerso che i proprietari mettevano in vendita i terreni perché stanchi di subire danni e furti. E molti di questi terreni erano limitrofi a quelli già in possesso degli appartenenti al clan.

L’operazione, tuttavia, portata con successo, fa sperare in una maggiore futura collaborazione della popolazione. Operazione che ha avuto il plauso di Giuseppe Antoci, presidente del parco dei Nebrodi, anche perché ha evidenziato le difficoltà del clan a proseguire nella propria attività dopo le forche caudine del protocollo di legalità firmato con la prefettura di Catania che impone ai proprietari terrieri di presentare il certificato antimafia. Protocollo che adesso potrà essere adottato come modello.

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