L’abitare dignitoso non passa solo da un alloggio sicuro e sano, ma dal “prendersi cura” di chi occupa i suoi spazi, dell’ambiente circostante e dei rapporti con il territorio. Sembra un’utopia, soprattutto in una città difficile come Catania, eppure le buone prassi esistono già.
Se ne è discusso nel corso di “Abitare la città: rigenerare spazi, progettare politiche” la conferenza tenutasi oggi organizzata dal Sunia e da Trame di quartiere, nell’ Aula Studio Dipartimento scienze politiche e sociali (Palazzo Dusmet).
A confronto studiosi, volontari e sindacalisti per fare luce sulle prospettive di intervento che comprendono processi di ristrutturazione di edifici dismessi o poco utilizzati senza però mettere da parte le forme di socialità.
Al centro del dibattito anche Librino e San Berillo, due quartieri con due storie diverse ma unite dal filo rosso delle case che aspettano di essere riqualificate nel segno dei diritti.
Alla conferenza sono intervenuti:
- Carlo Cellamare: “Pratiche dell’abitare nella periferia romana”, docente di urbanistica, Sapienza di Roma;
- Giusi Milazzo: “I paradossi del disagio abitativo”, segretaria regionale Sunia;
- Calogero Punturo: ”L’abitare sociale e il ruolo dell’I.A.C.P nella riqualificazione urbana”, direttore generale IACP Catania;
- Chiara Rizzica: “Costruire, abitare, collaborare. Il social housing fa innovazione sociale?” Associazione Innovarexincludere, Milano;
- Teresa Consoli: “La sperimentazione del modello Housing First in Italia”, docente di Sociologia Giuridica, Università di Catania;
- Carlo Colloca: “Indovina chi viene ad abitare? Migranti e residenzialità”, docente di sociologia dell’ambiente e del territorio, Università di Catania.
Ha coordinato i lavori Luca Lo Re, di Trame di Quartiere.
Giusi Milazzo, segretaria del Sunia, l’organizzazione che da anni si occupa di coniugare l’esigenza di dare risposte al disagio abitativo a quella di trovare soluzioni innovative alla qualità dell’abitare socialmente sostenibile, ha affrontato “il tema del paradosso tra il disagio abitativo e i tanti in cerca di soluzioni adeguate alla mancanza di un tetto, e il numero di abitazioni non utilizzate e la cementificazione del territorio. Troppe case ma per chi? Domanda ed offerta seguono percorsi diversi. Le storture di un sistema dove la mancanza di una forte regia pubblica comporta una deregulation inaccettabile. I bisogni e le esigenze reali della popolazione e le trasformazioni sociali economiche e demografiche in corso sono elementi a cui le politiche della casa in atto non danno alcun peso e valore. A Librino per esempio, il disagio si è costituto nel tempo ed è stato acuito da una mancata risposta”.
Carlo Cellammare ha raccontato la sua esperienza di Tor Bella Monaca, grande periferia romana con 35.000 abitanti dove è in corso un’esperienza di coinvolgimento degli abitanti delle case popolari per progettare modi di vivere e abitare inclusivi. Un’esperienza che include anche esperimenti di autoriqualificazione degli immobili degradati.
Chiara Rizzica ha, invece, spiegato il reale significato di “housing sociale”: “C’è un equivoco in Europa tra politica della case e politica edilizia. Si fa spesso confusione tra le due cose, mentre l’housing sociale è un programma integrato che mette insieme offerta di servizi alloggio, azioni e strumenti, tra pubblico e privato, che servono a costruire una comunità solidale e coesa di abitanti. I destinatari sono una fascia grigia che comprende chi riesce ad accedere al mercato e che non ha le risorse per farlo”.
L’ architetto Calogero Punturo direttore Iacp di Catania ma anche coordinatore regionale della Conferenza dei Direttori Iacp, sta portando avanti progetti di housing sociale in terreni di proprietà dell’ istituto e in collaborazione con i comuni attraverso la riqualificazione di immobili pubblici degradati e non utilizzati. “Lo Iacp, ente non economico strumentale della Regione, utilizza fondi propri o attinge ai finanziamenti previsti ad hoc. I progetti di housing sociale se realizzati tenendo conto della sostenibilità dei canoni possono offrire una risposta sia al disagio abitativo per categorie a reddito medio/basso o possono costituire una risposta per nuove esigenze abitative – ha spiegato – In Sicilia siamo ancora in ritardo. L’edilizia residenziale non è più sovvenzionata a causa dell’annullamento dei fondi ex GESCAL. Abbiamo dovuto riconvertirci senza aiuto dalla politica, senza strumenti normativi per auto sostentarci. Viviamo dalla sola gestione del patrimonio, ma gli utenti hanno difficoltà di pagare i canoni. E qui a Catania non registriamo alcuna disponibilità da parte del Comune di offerta da immobili da recuperare”.
La docente Consoli ha illustrato il progetto “Housing first Sicilia” che si rivolge a persone senza fissa dimora o con difficoltà a mantenere l’abitazione e le inserisce direttamente all’interno di alloggi, fornendo loro supporto sociale multidisciplinare “a partire dalla casa”, superando la logica dei centri di accoglienza, seppur necessari ma sempre intesi come misure emergenziali. Colloca ha spiegato il percorso, spesso doloroso e purtroppo facile da riscontrare nella vita di tutti i giorni, del confronto con l'”altro”. “Anche dal solo stupore per abitudini diverse dello straniero che ci abita accanto, può nascere il disprezzo e la paura, ma può nascere anche l’ accoglienza”.
Tra gli intervenuti al dibattito anche l’assessore comunale alla Casa, Angelo Villari.