CATANIA – “E’ disperante vedere ciò che si scrive sui social a proposito dei migranti minori sbarcati l’altro giorno dalla Diciotti. Una propaganda che non fa prigionieri. In compenso molte persone mi hanno contattata, dopo un mio appello in rete, per capire come accedere a questa realtà del tutoraggio”. Mirella Mancuso è un’educatrice e scrittrice catanese, da alcuni giorni tutrice del giovane Sare, uno dei minorenni fatti scendere dalla nave della Guardia costiera in stallo al Porto di Catania, con a bordo oltre centocinquanta persone in attesa di conoscere il proprio destino. In questa intervista ad Hashtag Sicilia racconta la propria esperienza di tutrice e la discrasia tra la propaganda e la realtà sulla pelle di persone in cerca di un futuro migliore.
Dottoressa Mancuso, cosa vuol dire essere tutore di un minore straniero non accompagnato?
“La prima cosa da chiarire è che un tutore non è un affidatario, non abita insieme al minore. I ragazzini sono affidati ad una struttura, anche perché di solito non sono proprio bambini ma quattordicenni, sedicenni, diciassettenni al confine con la maggiore età. Anche questo è importante, perché impegna il tutore a realizzare le condizioni perché possano costruirsi in breve tempo un futuro”.
A diventarne un po’ il “genitore”, con tutti i distinguo del caso rispetto all’adozione vera e propria.
“Il nostro ruolo è quello di affiancare i ragazzini, insieme agli educatori, agli psicologi e agli assistenti sociali della struttura in cui abitano. Noi siamo i tutori legali e dobbiamo vigilare facendo le veci dei genitori, che non ci sono. Tocca a noi verificare che vengano fatte le scelte nel loro interesse, per esempio per avere il permesso di soggiorno, perché possano ottenere le tutele previste dalla legge, e perché capiscano cosa comporta ogni situazione”.
Cosa vogliono questi ragazzi per il loro futuro?
“Molti di loro sono soli, ma vorrebbero andare a raggiungere familiari e parenti che si trovano in altri Stati. Anche in questo caso dobbiamo fare in modo per quanto possible – e spesso non è possibile – di favorire i ricongiungimenti. Quello del tutore è un ruolo con molte sfaccettature, ma in fondo si tratta di essere una garanzia per il minore e il suo baluardo in una situazione difficile della sua vita”.
C’è stato un momento preciso in cui ha scelto di mettersi a disposizione come tutrice volontaria?
“Mi sono affacciata da pochissimo a questa esperienza, anche perché fino a poco tempo fa la tutela legale veniva assegnata a persone che si muovevano nell’ambito giuridico, giudici, magistrati, avvocati. Con l’emergenza sbarchi il problema dei tutori è diventato grave. Non essendoci abbastanza tutori si rischiava di non garantirne i più elementari diritti, da un’esame sanitario ad un prelievo ma anche ad una semplice gita. Tutte cose per cui serve l’assenso del tutore. Per evitare si è deciso di allargare alla società civile”.
Ma non sono richieste competenze specifiche per assumere un compito così delicato?
“Non abbiamo conoscenze giuridiche pregresse, siamo stati formati attraverso un corso specifico e siamo stati inseriti in un elenco di tutori volontari per minori stranieri non accompagnati (MSNA). Quando ci sono queste situazioni noi veniamo nominati, recarci al Tribunale dei Minorenni, firmare la nomina e assumere la tutela diventando tutori legali”
Qui inizia il nostro rapporto umano e personale, immagino.
“Cerchiamo di dare un minimo di calore a questi ragazzi. E questa è una strada che ciascuno può percorrere, serve soltanto comprendere la responsabilità che ci si assume e decidere di portarla avanti”.
Cosa pensa delle polemiche che hanno accompagnato la vicenda della nave, ed anche gli stessi minori?
“Purtroppo ho dovuto leggerle anch’io sui social. Molti dicono che quelli scesi dalla Diciotti non fossero davvero minorenni. Io dico, ma nel dubbio che si fa? Si lasciano lì? La tutela del minore è prioritaria, eventuali indagini verranno dopo”.
Se un giorno Sare le chiedesse perché è stato tenuto per giorni sopra una nave ancorata in un Porto, senza potere scendere, cosa risponderebbe?
“Guardi, questi ragazzini hanno ferite profonde, fisiche e psicologiche. Bisogna stare molto attenti e navigare a vista. Bisogna capire, sentire, in sintonia con lui. Io penso – l’ho scritto nel mio libro – che ai ragazzi si possa dire davvero tutto. Sono il come e il quando a fare la differenza. E bisogna farli sentire al sicuro”.