Non so se recupereremo lo spirito con il quale abbiamo affrontato la prima ondata della pandemia, quando cantavamo dai balconi ed esponevamo striscioni con i colori dell’arcobaleno gridando ai quattro venti: “Andrà tutto bene!”, aggiungendo subito che ne saremmo usciti migliori.
Non so neppure se il Governo saprà recuperare quella capacità di leggere la realtà, di affrontare questo mostro crudele che è il Covid-19 con lo stesso senso di responsabilità e la lungimiranza con cui ha saputo fronteggiarlo nella scorsa primavera, conquistandosi la stima degli italiani e l’apprezzamento dell’opinione pubblica internazionale.
Quello che so con certezza è che occorre uscire da subito dalla indecisione, dal traccheggiamento, dalla confusione, dalla tanta voglia di parlare e dalla poca voglia di decidere. Un’immobilità per la quale rischiamo di pagare pesanti conseguenze, sia sanitarie che economiche.
È vero, dalla fine di giugno (da quando ha iniziato ad affievolirsi la prima ondata del virus) fino ad oggi si sono sottovalutate tante cose, sono stati commessi tanti errori, sia da chi governa il Paese e le Regioni, sia da chi è all’opposizione. Errori e sottovalutazioni che hanno spezzato – tra l’altro – il sentimento originario di stare tutti nella stessa barca.
Non è questo però il momento di attardarsi a indicare i colpevoli: questo è il momento della responsabilità, della solidarietà e della coesione nazionale. “Oggi non è il tempo delle partigianerie, dei protagonismi, degli egoismi, l’obiettivo comune deve essere quello di difendere il Paese”, ha detto il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
Ciò è assolutamente necessario perché i dati di ieri, influenzati da un basso numero di tamponi caratteristico del fine settimana, non lasciano tranquilli: diminuiscono i nuovi contagi, 29.907, ma su un numero di test inferiore rispetto al giorno precedente. Ormai la percentuale di positivi è altissima, al 16,9%, e questo è un campanello di allarme. Cresce costantemente il numero dei posti di terapia intensiva occupati, ieri altri 96, mentre i decessi sono stati 208.
Ecco perché, di fronte a un mostro ancora potente e insaziabile, occorre uscire dalla logica degli annunci, del tutti contro tutti, dal braccio di ferro del Governo con i presidenti delle regioni, dalla stupidità di mettere sottochiave i settantenni. I negazionisti, l’indifferenza di chi non capisce, l’accapigliarsi di esperti e scienziati (che ogni giorno si beccano come i capponi di Renzo nelle più importanti reti televisive, davanti a milioni di telespettatori) hanno contribuito a creare un Paese slabbrato, chiuso e incattivito.
Una realtà nella quale qualsiasi cosa si decida rischia di non essere compresa e di suscitare proteste: alcune giustificate dalla diffidenza sugli arrivi degli aiuti annunciati dal Governo, altre strumentali e finalizzate unicamente a soffiare sul fuoco, a creare confusione, a delegittimare qualsiasi iniziativa dell’Esecutivo.
In questo contesto non so se la risposta più giusta sia quella di decidere un lockdown generalizzato – anche perché chi decidesse in questo senso dovrebbe (alla fine, se è quando una fine ci sarà) fare i conti con il disastro economico che la crisi lascerebbe in eredità – o disporre chiusure locali, differenziate, territorio per territorio.
Quello che so è che i tempi stringono e che occorre fare in fretta avendo come bussola, come direzione di marcia due cose sole: la salute dei cittadini e la necessità di dare certezza assoluta sui ristori agli operatori economici che saranno danneggiati dalla riduzione degli orari di apertura o dalle chiusure delle attività, oltre naturalmente a garantire il reddito ai lavoratori, alle categorie che non sono coperte dalla cassa integrazione, ai soggetti che non percepiscono il reddito di cittadinanza.
Tutto ciò tenendo bene a mente che il virus è anche e soprattutto una prova per la tenuta dell’umanità, una prova che non possiamo mancare perché riguarda il futuro di tutti.