Ogni anno ricordiamo i caduti nella tragedia della miniera di Bois Du Gazier a Marcinelle. Una ennesima tragedia che costò la vita a 262 lavoratori, 136 dei quali erano italiani.
Ma se solo ci soffermiamo un momento a riflettere su disastri minerari, specialmente nel settore del carbone, ci accorgiamo che con il sangue dei tantissimi morti il carbone avrebbe dovuto cambiare colore e diventare rosso.
Diversi infatti sono i disastri minerari, a partire dalla tragedia di Monongah del 06 dicembre 1907, quando non si riuscì nemmeno a stabilire il numero esatto dei morti. Si parlò di 350 vittime, ma anche di 425 – 478 fino ad arrivare alla cifra di 956 vittime, secondo un giornale di Washington del 9 marzo 1908.
La sciagura di Marcinelle presentò il conto sia alle società minerarie che alle istituzioni, perché finalmente squarciò il fitto velo che copriva quanto precarie fossero le misure di sicurezza nelle miniere, quanto venivano sottovalutate le condizioni di lavoro di persone che, come talpe, seguivano le vene di carbone abbattendo il minerale per caricalo sui carrelli che lo avrebbero fatto arrivare fuori.
Quel disastro squarciò il velo che copriva l’effimera intesa prevista nell’accordo del 1946 tra lo Stato Italiano e quello belga, di cui nessuno si curò di verificare l’applicazione. Case, viveri, salari, erano tutte promesse scritte sui manifesti e strombazzate sulle piazze dai reclutatori che invogliavano a firmare un contratto che li avrebbe portati all’interno delle miniere.
Nessuno si curò di vedere, o se qualcuno lo fece fu con molto ritardo, che quegli emigrati scambiati per carbone, per alloggi, ebbero le vecchie baracche di legno lasciate vuote dai prigionieri di guerra che per tutti servizi avevano latrine ed acqua in comune, allocate in alcune baracche piazzate al centro dillo spiazzale prospiciente al blocco. Così come nessuno si accorse che gli emigrati venivano ospitati in baracche di lamiera dove si moriva di freddo d’inverno e si soffocava d’estate.
Nessuno vigilò sulle condizioni di ospitalità delle così dette cantine, dove il minatore dormiva e mangiava e dove per alloggio aveva una piccola stanzetta che dividevano in due. Cantine dove non era raro assistere al fatto che il posto letto veniva affittato a due persone diverse, che lavoravano in turni diversi nella miniera, così come nessuno indagò che spesso i gestori erano italiani.
Quel disastro svegliò anche le istituzioni, i sindacati, gli stessi minatori e determinò il cambio di rotta dei contratti di lavoro migliorando di molto il trattamento dei minatori sul posto di lavoro con particolare attenzione sia al salario che alla sicurezza di quelle vecchie miniere che costituivano la ricchezza del Borinage, ma che avevano bisogno di ammodernare i sistemi di coltivazione e la struttura industriale dei siti minerari in genere.
Quel disastro, che anche quest’anno ricordiamo nel 65° anniversario, non solo contribuì a cambiare la struttura legislativa relativa al rapporto miniera-proprietà-minatore, ma stimolò anche le autorità italiane a prendere atto delle tante vittime fatte dall’emigrazione e non solo, pervenendo alla decisione di proclamare l’8 agosto “Giornata Nazionale del Sacrificio del Lavoro Italiano nel Mondo”. Fu il Presidente della Repubblica Ciampi, che nel 2001 con proprio decreto proclamò l’importante ricorrenza.
Un decreto che vuole fissare nella memoria degli italiani il sacrificio di tanti italiani costretti a scegliere la via dell’emigrazione in cerca di quel lavoro che l’Italia non era in grado di fornire.
Oggi 8 agosto, anche noi dell’USEF e del CARSE vogliamo ricordare questi nostri morti che nella ricerca di una esistenza degna di essere vissuta, hanno sacrificato la loro vita ed i tanti morti vittime della sete di guadagno di un piccolo e grande capitalismo straccione che risparmia sulla sicurezza, che si rivolge ad agenzie interinali, che subappalta a società di vario genere, pur di diminuire le proprie responsabilità ed aumentare i propri guadagni risparmiando anche sulla sicurezza. Così come ricordiamo anche i tanti invisibili sfruttati perché non protetti da nessuna legge.
Salvatore Augello