Siamo a San Berillo, nel cuore di Catania. Per arrivare abbiamo fatto solo pochi passi, ma è come se ci fossimo spostati di migliaia di chilometri. Molti dei palazzi attorno a noi sono diroccati, cadenti, rovinati dal tempo, ma soprattutto dall’incuria. È passato appena qualche giorno dall’ennesimo blitz delle forze dell’ordine, e le strade sono semi-vuote. Al centro di una via laterale, una di quelle che non prenderemo, c’è una donna che ci guarda. È seduta su una vecchia sedia di vimini e fuma, in attesa. C’è una strana calma, tesa e silenziosa. Facciamo ancora qualche passo su via Caramba Giambattista – in attesa di arrivare in Via Nicolosi e poi svoltare su Via Pistone – e ci passa accanto un ragazzo di colore. Cammina velocemente ai margini del muro, e sfiora inavvertitamente un sacchetto della spazzatura dimenticato a terra. Giriamo l’angolo e abbassando lo sguardo notiamo che di rifiuti abbandonati ce ne sono parecchi; ma non più di quanti se ne accatastano sotto i portici di Corso Sicilia, o peggio ancora nella zona della “Fera o Luni”. Andiamo avanti un passo dopo l’altro, ma tutti i pregiudizi sul quartiere si attaccano alle nostre spalle, e ci rallentano. Un gatto – non nero – attraversa la strada, poi qualcuno si affaccia da un secondo piano e si mette a guardare giù. “Un covo di illegalità”, “un posto pericoloso”, “un luogo senza regole”. Può essere, ma sembra un altro mondo, con una sua bellezza particolare. Le porte degli edifici abbandonati, murate per volere del comune, sono state dipinte con dei murales e creano un sentiero colorato. Lo seguiamo e arriviamo al nostro porto sicuro in quel mare di incertezze: la sede di Trame di Quartiere, l’associazione che siamo venuti a conoscere. Per capire quali sono i problemi e i punti di forza di un luogo come questo, per cercare di sfatare qualche pregiudizio, per comprendere come siamo arrivati – come città e come società – a creare un microcosmo come questo. Ma prima di entrare abbiamo bisogno di fare un passo indietro, questa volta nel tempo, per conoscere la storia e le radici del quartiere.
Storia ed essenza, origini e contesto
“Emarginato. agg. e s. m. Escluso da una società, da una comunità, dalla partecipazione ai diritti e ai benefici di cui altri godono e che dovrebbero essere comuni a tutti” [v. Treccani].
Spesso quando si parla di San Berillo può capitare che venga in mente questa parola. Storico quartiere di Catania, presente nelle mappe cittadine dall’inizio del 1700 – per l’esattezza a partire dai lavori di ricostruzione successivi al grande sisma del 1693 -, questo angolo di città ha sempre avuto una vita “movimentata”. San Berillo – dal nome del fondatore della comunità cristiana catanese – in origine si estendeva da piazza Stesicoro alla zona portuale e, per via della sua centralità e al tempo stesso della sua vicinanza con il mare (e, da circa due secoli dopo, anche con lo scalo ferroviario), è stato spesso storicamente indicato come possibile quartiere nobile della città. O almeno, questi erano i piani originari del Duca di Camastra, Giuseppe Lanza, coordinatore dei lavori di ricostruzione post-terremoto. Le cose però presero una piega diversa. Infatti, come spesso avviene per le zone portuali delle grandi città, ecco che il quartiere si è progressivamente popolato di commercianti e di artigiani, di prostitute e di venditori. Insomma, San Berillo diviene un rione non propriamente nobile, ma indubbiamente non emarginato – né per posizione, né tantomeno per inattività. Ma diverse idee di “riqualificazione”, seguite dalle sempre-verdi speculazioni edilizie, cambieranno le cose nel corso del tempo. Per vedere gli effetti più drastici di queste pratiche bisogna arrivare agli anni ‘50 del ‘900, quando avviene una vera e propria operazione di sventramento del quartiere, conosciuta anche come “piano ISTICA”. L’obiettivo è quello di rendere questa zona di Catania la “Milano del Sud”, e a questo scopo il Comune – sostenuto nel progetto dal Banco di Sicilia, dalla Regione e dal partito della Democrazia Cristiana – acquista “indiscriminatamente” quasi tutti gli edifici della zona, entrando in contenzioso anche con diversi proprietari. Molti palazzi vengono abbattuti, e si crea una grande voragine nel cuore di Catania. Un vuoto che spaventa, ma che sembra una promessa – deve esserlo, sarebbe troppo scandaloso se restasse in questo modo. Così sorgono altri edifici, più moderni e pronti ad ospitare anche diverse sedi bancarie; ma il risultato per la popolazione non è dei migliori: per loro, quella promessa, evidentemente non vale. Circa 30mila abitanti di San Berillo/Corso Sicilia sono costretti a spostarsi e a ricollocarsi altrove. Un decimo degli allora 300mila cittadini catanesi, parte consistente del tessuto sociale della città, viene così sradicata e trapiantata (ad esempio nel rione San Leone) lasciando un vuoto nel cuore del quartiere. Una piccola parte di quella zona, quella più marginale, quella meno coinvolta dalle dinamiche di Corso Sicilia, resta ugualmente spopolata, ma viene non riqualificata e ristrutturata. Lì non ci sono i vetri scintillanti dei nuovi palazzi, lì sugli edifici si possono notare i segni del tempo, anche dei bombardamenti della seconda guerra mondiale. I proprietari in larga parte se ne disinteressano, il comune e le istituzioni pure. E così si arriva fino ad oggi. Fino a noi, qui, davanti alla porta di Trame di Quartiere, a scoprire come “emarginato” non sia davvero l’unica parola giusta per capire tutta questa complessità.
I problemi di oggi, raccontati da chi li vive
Siamo all’interno della sede dell’associazione e di fronte a noi c’è una ragazza che non ha ancora trent’anni, Carolina Paternó di Raddusa, collaboratrice di questo “gruppo di lavoro interdisciplinare” – così come viene definito sul loro sito ufficiale – sin dal 2017. Ci sediamo e iniziamo a parlare a ruota libera per circa un’ora.
Fai parte di un’associazione che ogni giorno vive il quartiere, com’è davvero la situazione qui?
“Ci sono diversi livelli di complessità, alcuni problemi sicuramente hanno anche origini storiche, dati dallo sventramento degli anni ‘50. La città ha un po’ abbandonato questo quartiere creando tantissime case vuote, e il quartiere si è ripopolato di tutta una serie di persone ai margini della società. Attualmente ci sono diverse comunità di ragazzi stranieri, senegalesi, gambiani e non solo, e diversə sex workers. I catanesi ci sono anche, ma diciamo che vivono ai margini di questo rettangolo in cui ci troviamo. In generale qui ci sono persone che come tutti quanti vogliono poter vivere bene ma che allo stato attuale sono rimasti bloccati e non sono visti dalla società per tutta una serie di problematiche”.
E appunto parlando di problemi, quali difficoltà concrete ha il quartiere?
“C’è un degrado degli immobili ad uno stadio molto avanzato, ma un quartiere non è soltanto dato dai suoi edifici, è fatto dalle persone che li vivono e li abitano. E chi sta qui ha principalmente tre ordini di problemi: legali, abitativi e di inserimento lavorativo. Una priorità è sicuramente far ottenere i documenti ai ragazzi migranti, ma non li possono ottenere senza prima avere una residenza ufficiale, ma non possono avere la residenza senza un contratto di lavoro o senza aver regolarizzato la propria posizione – in tanti pagano regolarmente l’affitto e non sono abusivi; e quindi molti anche se si muovono per risolvere uno di questi problemi si trovano bloccati in questa situazione. Un tempo il Comune facilitava anche l’ottenimento di una residenza “fittizia”, ma adesso hanno cambiato le disposizioni ed è diventato molto più complesso, quasi impossibile senza il permesso di soggiorno. Questa sarebbe una priorità assoluta. Poi mancano tutta una serie di servizi: servirebbe un dormitorio, delle docce e dei bagni pubblici, e una migliore illuminazione delle strade. Per fare un esempio in Via Carlo è capitato certe volte che le luci sono state accese di giorno e spente di notte. Sarebbero necessari anche dei lavori di ristrutturazione dei palazzi e più in generale si dovrebbero attivare una serie di attività pensate per le persone – per orientarle al lavoro e all’inclusione sociale – che attualmente sono condotte in parte dalla nostra associazione”.
E a tal proposito, voi che ruolo avete nella vita del quartiere? Quali attività svolgete?
“Organizziamo una serie di attività, in gran parte volontarie. Abbiamo uno sportello di orientamento al lavoro organizzato dalla chiesa Valdese, una giornata dedicata alla formazione sulla lingua italiana, sulla scrittura creativa e sulla musica; e ancora uno sportello legale e uno di consulenza sanitaria. Cerchiamo di portare avanti queste attività come possiamo, anche con l’aiuto di altre associazioni del territorio, anche se le difficoltà, economiche e non, sono diverse”.
Parlando d’attualità, nei giorni scorsi (19 ottobre, 24 ottobre n.d.r) ci sono stati diversi blitz delle forze dell’ordine – avvenuti anche in maniera abbastanza “fragorosa” con la presenza di un elicottero a sorvolare la zona per ore e con l’arrivo del sindaco. Pensi che questi interventi siano davvero utili alla vita del quartiere, oppure che siano semplicemente una dimostrazione di forza e di presenza?
“Quello che è successo è stato questo: le forze dell’ordine sono venute e hanno distrutto e smantellato diverse bancarelle abusive, che in mancanza di altro rappresentano la fonte di sostentamento di quella persona – per quanto nell’illegalità. Si è fatto un intervento solo da un punto di vista “materiale”, senza andare a toccare e modificare le cause che portano le persone a dover fare queste attività per vivere. Tra l’altro qui c’è una piccola illegalità, se si vuole davvero colpire la criminalità bisognerebbe guardare alle piazze di spaccio milionarie di San Cristoforo o San Giovanni Galermo. Detto questo il giorno del blitz io ho avuto modo di parlare con un rappresentante delle forze dell’ordine e mi è stato detto che l’obiettivo è rendere San Berillo un posto tranquillo, dove si possa venire a passeggiare in pace, anche a livello turistico. Niente di male in questo, ma penso che per poter davvero creare un ambiente sereno che non sia solo di facciata bisogna prima sistemare davvero il tessuto sociale”.
Ma voi che rapporto avete col Comune e con le Istituzioni? Avete fatto presente i vostri problemi?
“La presenza delle istituzioni è stata quasi nulla, tranne che nelle ultime due/tre settimane, dove si sono abbastanza fatti vedere per così dire. Un dialogo con il Comune c’è stato, anche relativo all’utilizzo dei fondi del Pnrr e nell’ambito dei piani urbani integrati ci sono stati dei tavoli. L’idea era confrontarsi, ma non è seguito un ascolto. Ci sono – e si propongono in futuro – degli interventi che non tengono conto dell’aspetto sociale del quartiere, almeno per quanto detto fin ora. Il Comune pensa di creare una pavimentazione colorata per le strade, creare una piazza e altri interventi, per rendere anche estaticamente il quartiere più piacevole per chi è di passaggio; ma non tiene conto che il quartiere è fatto dalle persone lo vivono 24 ore su 24. Io proporrei di far riqualificare gli edifici ai ragazzi di San Berillo, di cercare in questo modo di inserirli nel mondo del lavoro”.
Come vedi il futuro del quartiere?
“A questa domanda Carolina sorride in maniere amara: “Posso dirti questo. Ho solo un’idea di come vorrei che fosse, ma non so se diventerà realtà. Qui il tempo passa in maniera strana, alcune volte hai la sensazione che scorra lento, perché non cambia mai nulla; altri giorni ti sembra passare in fretta, perché c’è un nuovo problema diverso per ciascuno di noi, un nuovo ostacolo da superare. Quello che posso dire è che non voglio che passi il solito messaggio “noi siamo qui per aiutare i poverini”. Noi siamo qui, e siamo qui con chi ci circonda, e vogliamo stare bene qui con chi ci circonda, per questo cerchiamo di fare rete e farci forza a vicenda”.
Dopo questa chiacchierata usciamo da Palazzo De Gaetani, e mentre torniamo alla tanto decantata “società”, abbiamo anche noi un sorriso amaro.