Emozioni, commozione e impegno: questi i sentimenti espressi dai partecipanti alle due iniziative svoltesi ieri a Palermo per ricordare Biagio Siciliano e Maria Giuditta Milella, i due studenti del liceo Meli travolti e uccisi da un’auto di scorta dei giudici Paolo Borsellino e Leonardo Guarnotta il 25 novembre del 1985.
Alla cerimonia della mattina, svoltasi in via Libertà, proprio all’incrocio con piazza Croci, nel luogo dove fu stroncato per sempre il sorriso e la vita dei due studenti, hanno presenziato molti cittadini e numerose autorità.
Questa commemorazione, organizzata dalla Commissione cultura dell’Ottava Circoscrizione del comune, in collaborazione con il Centro Studi Paolo e Rita Borsellino e con la Cna di Palermo, ha visto la deposizione di una corona di fiori sul luogo della tragedia e l’affissione di un’immagine dei due ragazzi.
Erano presenti il fratello di Biagio, Vincenzo Siciliano; il presidente della Commissione Antimafia dell’Assemblea Regionale Siciliana Antonello Cracolici; il giudice Leonardo Guarnotta; il magistrato Vittorio Teresi, presidente del Centro Studi Paolo e Rita Borsellino; il presidente dell’Ottava Circoscrizione Marcello Longo; Roberto Leone in rappresentanza di Assostampa e Giuseppe Glorioso, segretario provinciale della CNA.
Tante le testimonianze raccolte durante la cerimonia: da quella di Vincenzo Siciliano, che racconta come la sua famiglia fu distrutta dopo quel giorno terribile, a quella dell’insegnante e scrittrice Mari Albanese, che parla del dolore che si portò dentro per tutta la vita il compianto Paolo Borsellino; passando per quella del sindaco di Palermo Roberto Lagalla, il quale dopo aver annoverato Biagio e Giuditta tra le vittime della mafia, al pari di chi ha sacrificato la vita sull’altare della lotta alla criminalità, ha parlato del dovere di ricordarli.
Particolarmente significativo, e molto partecipato, il dibattito del pomeriggio svoltosi all’Istituto Superiore Francesco Ferrara animato dall’arcivescovo metropolita, monsignor Corrado Lorefice; dall’onorevole Antonello Cracolici, presidente dell’antimafia siciliana; dal giornalista e scrittore Roberto Puglisi, autore di un libro su quella tragica vicenda; e da Giuseppe Glorioso, all’epoca giovanissimo segretario della Cna di Palermo.
Il dibattito, presentato dalla dirigente scolastica, la professoressa Ilaria Virgiglio e coordinato da Mari Albanese, è stato impreziosito dall’intervento del presidente del Centro Studi Paolo e Rita Borsellino, il dottor Vittorio Teresi, dalle domande e dagli interventi di alcuni studenti, a partire da quello di un ragazzo di colore che ha descritto l’istituto Ferrara come una scuola accogliente, frequentata da studenti di varie nazionalità e religioni capace di far crescere gli studenti che lo frequentano sia sul piano professionale che su quello umano.
Successivamente ha preso la parola il giornalista Roberto Puglisi, il quale ha raccontato che quel 25 novembre, inizialmente, era una bella giornata di sole, e che lui si stava godendo passeggiando con un amico, quando capì improvvisamente che c’era qualcosa che non andava. Aveva intuito che era accaduto qualcosa di grave dal suono lacerante delle sirene delle ambulanze e delle macchine delle forze di polizia, e soprattutto dall’immagine del padre (docente di latino al Meli), che dopo avere appreso a casa le prime notizie dai telegiornali, era sceso in strada in pantofole sconvolto, chiedendosi – come tanti altri genitori -cosa fosse accaduto ai figli; che tremava e non riusciva neppure a inserire la chiave nella toppa. Parla anche della dolcezza di Biagio e di Raimondo, il suo gatto che quel giorno e i giorni a venire lo aspettò invano.
Il segretario della CNA Pippo Glorioso, oltre a ricordare, con la voce incrinata dall’emozione, il giorno in cui i ragazzi gli chiesero – perché non avevano fiducia nelle istituzioni – di andare a deporre una corona di fiori e affiggere una lapide in ricordo dei loro compagni; parla delle battaglie fatte per difendere le aziende dell’Arenella, delle pressioni e delle minacce mafiose subite. Sostiene che se è vero che oggi la mafia non si vede è anche vero che è viva e vegeta, e continua a strozzare con l’usura artigiani e operatori economici e a vendere droga. Conclude dando notizia della decisione della Cna di dare una borsa di studio in memoria di Biagio e Giuditta, sull’esempio di quelle conferite in ricordo del sacrificio di Libero Grassi e di Felicia Impastato, la quale dedicò la sua esistenza per ottenere verità e giustizia sull’assassinio di Peppino, suo figlio.
In seguito l’onorevole Cracolici ha parlato della Palermo di quegli anni, del clima avvelenato che si respirava, dell’odio che veniva seminato verso i magistrati che viaggiavano a bordo delle macchine blindate, dei tanti morti ammazzati, dell’indifferenza delle generazioni di allora che finiva con l’essere un’alleata della mafia, della lenta presa di coscienza della città, delle prime lotte dei giovani – e in particolare delle donne -che esponevano le lenzuola sulle inferriate dei balconi in segno di protesta e di solidarietà.
Il presidente della Commissione antimafia ha concluso il suo intervento insistendo sulla necessità di prendere coscienza del fatto che i mafiosi sono una minoranza, che possono essere sconfitti: a suo dire non è infatti un caso che tutti i grandi mafiosi siano alla fine stati catturati e siano morti in carcere. Infine ha insistito sui concetti del valore della partecipazione e della denuncia, e del non voltarsi dall’altra parte.
L’arcivescovo metropolita, nel tirare le somme dell’interessantissimo dibattito, ha esordito ricordando il sacrificio di don Pino Puglisi, ucciso dalla mafia, che non sopportava la sua opera di recupero dei giovani, e del suo insegnamento alla legalità.
Ha parlato dei mali che affliggono Palermo, in primis la droga che distrugge la vita, delle iniziative portate avanti a favore di chi ne è rimasto succube, della legge votata dall’Ars – che ha definito una prima risposta al problema -, del ruolo della scuola, degli adulti e delle famiglie nell’opera di educazione e di difesa nei confronti dei venditori di morte, dell’azione della Chiesa nella diffusione del messaggio cristiano, del Vangelo.
Infine, monsignor Lorefice, ha richiamato l’attenzione sul valore dell’accoglienza e della solidarietà verso i migranti che spesso fuggono dalla miseria e dalle guerre ricordando, a questo proposito, il senso del primo atto fatto da Papa Francesco all’inizio del suo pontificato quando si recò a Lampedusa per ringraziare i cittadini di quell’isola che non si giravano dall’altra parte davanti alle sofferenze e si prodigavano offrendo il loro aiuto.
Noi di Hashtag Sicilia, che abbiamo seguito le manifestazioni in ricordo di Biagio e Giuditta, abbiamo anche intervistato Mari Albanese, Roberto Puglisi, Pippo Glorioso, Antonello Cracolici e monsignor Corrado Lorefice per conoscere il loro punto di vista sulla differenza che intercorre tra la Palermo e la Sicilia di ieri e quella di oggi, di cosa è cambiato in questi anni e cosa resta ancora da fare per sconfiggere definitivamente la mafia e affermare il valore della vita, dell’accoglienza e della libertà di intraprendere.
Mentre chiudiamo questo articolo ci giunge notizia di un atto gravissimo di chiaro stampo mafioso: la vandalizzazione della lapide affissa ieri nel luogo dove fu stroncata la vita di Biagio e Giuditta, a conferma che la “mala pianta” non è scomparsa, ma purtroppo è ancora viva e vegeta e va sconfitta.