Di Daniele La Barbera
La vita di Simone D’Arrigo, 16 anni, si è spenta in un attimo.
È un normale sabato sera, o almeno così sembra. Ci troviamo al centro commerciale Etnapolis, a Belpasso. Come d’abitudine gruppi di giovani ragazzi si ritrovano per stare insieme, scherzare e divertirsi. Nessuno avrebbe potuto immaginare la tragedia che di lì a poco si sarebbe consumata: Simone, insieme agli amici, sale sul tetto del centro commerciale dove si trova il parcheggio e il lucernario su cui poggia i piedi si rompe, costringendo il ragazzo a un volo di 15 metri.
I soccorsi accorrono tempestivamente e Simone viene trasportato in gravissime condizioni all’ospedale San Marco. Tuttavia, qualsiasi tentativo di salvargli la vita risulta vano: nella notte tra sabato 8 e domenica 9 marzo il sedicenne muore.
Le dinamiche dell’accaduto restano da chiarire quasi per intero e la procura di Catania ha aperto un’inchiesta per omicidio colposo. Cos’è che ha spinto l’adolescente a salire sul lucernario?
Se da un lato ogni dubbio potrebbe restare irrisolto, dall’altro forse la vera domanda da porsi è un’altra: come può un ragazzo di 16 anni perdere la vita in questo modo? Un quesito dinanzi al quale qualsiasi spiegazione o giustificazione non può che apparire infima e del tutto insufficiente.
Una tragedia del genere non può semplicemente essere etichettata come un “incidente”, o ancora meno trovare spiegazione nella foga adolescenziale che è spesso causa dell’illusoria convinzione di essere inarrestabili. Che la giovinezza sia notoriamente un’età di bravate e che qualunque adolescente si sia lasciato attrarre almeno una volta dall’ebbrezza del rischio, su questo non ci piove. La verità però – e duole doverlo ammettere – è che al giorno d’oggi molti giovani stanno pian piano perdendo il senso di ogni misura. Anche se forse questo non è il caso.
Simone non tornerà mai più indietro. Simone non potrà mai realizzare i suoi sogni e vivere i suoi anni. Simone non potrà più ridere con gli amici o passare del tempo con la propria famiglia.
Da due giorni a questa parte tutto ciò che resta è il cordoglio della comunità, dei compagni di classe e dei professori, le lacrime della famiglia e degli amici, lo sconvolgimento di fronte alla presa di coscienza della notizia. Ma soprattutto l’amaro in bocca.
In questi casi, quando si fa qualcosa di rischioso, si dovrebbe pensare alla propria madre.
Una madre – ad esempio quella di Simone – che attendeva come al solito il ritorno a casa del proprio figlio e che invece adesso si ritrova costretta a piangerne l’improvvisa scomparsa. Se solo quel tragico sabato sera non avesse avuto un epilogo tanto triste e immotivato… Se solo si desse più valore a questa vita che ci è stata donata…
Simone non tornerà più indietro, ma forse questa storia avrà insegnato qualcosa ai suoi coetanei che l’hanno ascoltata. Certo è che le coscienze degli amici che hanno vissuto in prima persona l’episodio rimarranno segnate a vita, portando con sé il ricordo di un ragazzino che oggi sarebbe potuto, anzi avrebbe dovuto, essere ancora tra loro.