Sobrietà: un bicchiere alla volta

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“Svolgere tutte le manifestazioni pubbliche in modo sobrio e consono alla circostanza”, questo l’invito del Governo alla vigilia del 25 aprile, giorno rientrante nei cinque stabiliti di lutto nazionale per la morte del Papa. Ne è seguita una levata di scudi da più parti, ma tutte in sostanza con alla base un simile ragionamento: il 25 aprile non è un happy hour o, più elegantemente, si può citare Augias, il quale ha detto che non si deve raccomandare sobrietà perché non è una festa di gente col fiasco in mano, in estrema sintesi.

Apprezzo le buone intenzioni, ma non sono d’accordo sull’argomentazione. Una Festa, compresa quella per la commemorazione della Liberazione dal nazi-fascismo, è una festa e ciascuno deve essere libero di festeggiarla come ritiene. Nei miei anni trascorsi in Toscana, ricordo i 25 aprile a casa Giubileo, una colonica in pietra in cima a Montemaggio, il punto più alto della Montagnola Senese, a pochi chilometri da Abbadia Isola, una frazione Monteriggioni.

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Mi si permetta una digressione su cosa rappresenta per i Toscani e i Senesi Casa Giubileo. Durante il fascismo vi abitava la famiglia contadina dei Vannoni. L’alba del 28 marzo 1944 un contingente di militi della GNR di Siena (la Guardia Nazionale Repubblicana, una formazione nazi-fascista della Repubblica di Salò), informati della presenza dei partigiani da un fascista della zona, diede inizio ad un conflitto a fuoco al termine del quale 19 partigiani furono catturati. Alla cattura fece seguito la fucilazione messa in atto dai fascisti in un luogo poco distante. Riuscì a fuggire e a salvarsi un partigiano, Vittorio Meoni, grazie al quale è stato possibile ricostruire gli eventi che sarebbero rimasti altrimenti conosciuti solo dalla documentazione scritta prodotta dalla GNR, che racconta una versione molto diversa da ciò che accadde quel 28 marzo 1944. Ho avuto l’onore di conoscere Meoni in quegli anni ormai lontani, è venuto a mancare a Siena, quasi un decennio fa, era il giorno del Palio di agosto del 2017.

Ecco, a casa Giubileo, con tutto ciò che quindi quel posto significa ed evoca, una volta arrivati, dopo una lunga camminata nel bosco, si mangiava e si beveva tutti insieme, o anche per i fatti propri. In realtà, si beveva prima della camminata, si beveva lì e si beveva tornando a valle. Si beveva vino rosso. Poi c’era un po’ di formaggio e qualche focaccia, se la memoria non mi inganna, sono passati più di dieci anni. Ora, vedete, io non vedo proprio cosa ci sia di male nel bere in compagnia. Secondo un recente studio condotto dall’Università di Exeter pare che alcuni scimpanzé siano stati visti socializzare consumando e condividendo frutta “alcolica” (fermentata) nel Parco Nazionale di Cantanhez, in Guinea-Bissau. Persino Papa Francesco, per la cui morte questa sobrietà si sarebbe dovuta riservare, ebbe a dire che se finisce il vino, “che festa è”.

Molte altre cose insensate sono state fatte dai nostri Amministratori il 25 aprile da Sud a Nord in ossequio a questo invito governativo alla sobrietà, ma verranno dimenticate insieme a loro, mentre dei Vittorio Meoni che ogni città o persino paesino ha avuto ce ne ricorderemo a lungo.

Ciò che qui più preme è ricordare che ciascuno dovrebbe essere libero di celebrare una Festa e commemorare la memoria di chi si è sacrificato per la libertà di un popolo, e quindi la nostra, nel modo che crede. Del resto, in Sicilia e in tante altre culture del mondo, quando qualcuno muore, i parenti del defunto preparano del cibo da offrire a chi viene in visita per esprimere le proprie condoglianze. Ed io ricordo di aver partecipato a più di un funerale in cui gli avventori mangiavano con gusto e, mangiando, recuperavano un po’ di allegria e ironia. Il cibo, il vino, sono tante cose e talvolta non sono certo sobri o eleganti.

Perciò, più che sentire Augias dire che il 25 aprile non è una festa con gente col fiasco in mano, avrei apprezzato che qualcuno dicesse che inopportuno era richiedere questa sobrietà. Il 25 aprile può essere sobrio o ebbro, dipende da ciascuno di noi, come fu la Liberazione. Basti pensare a quella specie di sfilata di carnevale che fu, secondo la narrazione di Beppe Fenoglio, la liberazione della città di Alba. E di quella rappresentazione dei partigiani vestiti in molti modi e di fortuna (in questo senso una sfilata di carnevale), come non può che essere un esercito di irregolari, ebbe a rimproverargliene il PCI, impegnato com’era – e, se posso dire, a torto – a costruire quella mitologia epica della Resistenza, da cui forse ancora oggi una parte dell’intellighenzia politica italiana non riesce a distaccarsi.

Per parte mia, ricordo con piacere e molta nostalgia quelle bevute a casa Giubileo, e questo è il modo che ebbi io per molti anni di celebrare il 25 aprile. Non credo che oggi qualcuno avrebbe potuto o dovuto lagnarsene. E comunque non me ne sarebbe fregato nulla.

Giuseppe Emiliano Bonura

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