“Hasta siempre” Pepe Mujica: addio al presidente rivoluzionario che dedicò la vita alla lotta contro le ingiustizie

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Con José “Pepe” Mujica non scompare solo un uomo libero e un tenace oppositore della corruzione (una piaga che ha colpito tanti presidenti dell’America Centro meridionale), ma una vera e propria icona della sinistra latinoamericana.

Con la sua dipartita – avvenuta nella giornata di ieri, martedì 13 maggio – perdiamo non solo un agricoltore, ma un rivoluzionario che ha pagato con quindici anni di carcere – gran parte dei quali in isolamento – la sua opposizione ai regimi dittatoriali di Jorge Pacheco Areco e Juan María Bordaberry.

Un politico che ha incarnato un modo diverso e nuovo di servire il proprio popolo, dando voce agli ultimi e coltivando un seme di speranza in un intero continente. Insomma, se ne è appenda andato un personaggio che, durante la sua intera esistenza, ha combattuto privilegi e ingiustizie con le sue scelte ed il suo esempio.

Un uomo che viveva in modo semplice e sobrio perché sosteneva: “per vivere devi avere libertà e per avere libertà devi avere tempo“. A lui non interessava possedere tanti beni, avere una casa grande e bella o godere di privilegi ed essere servito, nè desiderava avere molti soldi perché “se ho molti soldi – diceva – devo preoccuparmi di non farmeli rubare“.

Pepe Mujica infatti viveva in una piccola fattoria alla periferia di Montevideo con la moglie
Lucía Topolansky, senatrice della Repubblica e storica dirigente del partito, conducendo una vita semplice e sobria, coerente con i suoi ideali. Da lì si spostava sempre con un vecchio maggiolino del 1987 regalatogli da alcuni amici.

Durante il suo mandato di presidente dell’Uraguay rinunciò a vivere nel palazzo presidenziale e continuò a donare il 90 per cento del suo stipendio ad organizzazioni non governative dedite al sostegno delle persone più disagiate; trattenendo per sè circa 800 euro al mese. Probabilmente una scelta – ed una cifra così specifica – dettata dal fatto che molti dei suoi connazionali vivevano con meno di quella somma. Per questi motivi fu definito da tutti i media “il presidente più povero del mondo“.

Da presidente dell’Uraguay Mujica promosse tante riforme, tra le quali: la legittimazione dell’aborto, dei matrimoni omosessuali ed in favore della diffusione della marijuana (una norma concepita per privare il narcotraffico di un affare che valeva 30-40 milioni di euro l’anno); fece inoltre leggi per una maggiore giustizia sociale, per il salario minimo, per ridurre la povertà e dimezzare la disoccupazione.

Quando i media, nel tentativo di metterlo in difficoltà, lo interrogavano sulla ricchezza, sul potere, sulla povertà e lo invitavano a fare un bilancio della sua vita Pepe Mujica rispondeva: “non sono contro la ricchezza. Io sono contro l’ingiustizia, la disuguaglianza, la mancanza di solidarietà“. E sul potere diceva “il potere non cambia le persone, rivela chi sono veramente“. Invece sulla povertà affermava “io non sono povero. Poveri sono quelli che hanno bisogno di tanto“.

E relativamente al bilancio della sua esistenza – lui, che era stato sempre un lottatore sociale e un combattente -, diceva che si era sempre battuto per fare in modo che la gente potesse vivere un po’ meglio, per un maggiore senso di uguaglianza perché credeva che l’uomo avesse dentro di sè le risorse per creare un mondo migliore ricco di fattori materiali, ma soprattutto di cultura e conoscenza.

Più volte, durante le nostre incursioni in Uraguay, io e Angelo Lauricella, il presidente dell’Usef (Unione siciliana emigrati e famiglie) tentammo di prendere contatto con lui tramite un amico, un dirigente dell’Inca – il patronato della Cgil molto attivo in quel paese, dove c’è una forte presenza di nostri connazionali -, ma non fummo fortunati perché in due diverse circostanze, nei giorni dei nostri soggiorni a Montevideo, Mujica era all’estero.

Due anni fa però, in occasione di uno dei miei ultimi viaggi in Sud America, un sabato mentre facevo colazione in una storica e monumentale libreria del centro di Montevideo seppi da un militante del partito di Pepe Mujica, conosciuto la sera prima, che lui quasi ogni domenica era solito recarsi al mercato del contadino per portare il surplus dei prodotti della sua piccola fattoria ed acquistare le piantine per il suo orto.

Anche se mi sembrò una cosa surreale l’indomani, senza pensarci troppo e senza preoccuparmi di non fare in tempo a prendere il catamarano delle 12 per Buenos Aires, decisi di tentare l’impresa perché l’idea di poterlo intervistare mi ossessionava.

Non fui molto fortunato perché lo vidi apparire che erano da poco passate le 9, vestito come un contadino qualsiasi con una camicia a quadri e un pantalone, entrambi leggermente arrotolati sui polsi e sulle caviglie.

Mi intrufolai in un gruppetto di persone che era lì per salutarlo ed interloquire con lui e, prima ancora che il mio amico tentasse una timida presentazione, il presidente, senza sapere chi fossi allungò il braccio, mi strinse la mano e con un sorriso appena accennato disse quello che diceva a tutti “hasta siempre“, che non vuol dire addio per sempre, ma per sempre in avanti!

Ecco, in questo giorno mi sento di salutarlo anch’io in questo stesso modo, come lui fece con me. “hasta siempre“ presidente Mujica.

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