di Mariagrazia Miceli
Catania – A chi non è mai capitato di desiderare un confronto sincero, profondo con i propri genitori? È su questo delicato terreno che fiorisce Quel nostro albero in fiore, ultimo spettacolo della rassegna “Giovani Sguardi” della Compagnia Buio in Sala, andato in scena al Teatro Bis all’interno del centro polifunzionale Leonardo Da Vinci.
Scritto e diretto da Diletta Borrello e Simone Santagati, vincitori del bando “Giovani Sguardi”, la rappresentazione si muove tra realtà e immaginazione, riportando al centro del racconto il legame eterno e inestricabile tra madre e figlio. Con una domanda che è quasi un desiderio generazionale – cosa faremmo se potessimo incontrare nostra madre alla nostra età? – il testo costruisce un incontro impossibile e insieme straordinariamente umano.
“Abbiamo avuto entrambi voglia e interesse nello sviluppare questa idea che è nata circa un annetto fa; entrambi volevamo parlare del tema dei genitori e anche se partivamo da esperienze molto diverse tra di loro, abbiamo comunque trovato qualcosa in comune” ci dice Simone Santagati.
“Abbiamo cercato di dare profondità a una tematica veramente multisfaccettata, analizzandola da tutte le direzioni, perché ci siamo davvero resi conto che è qualcosa di universale, poiché anche se non siamo necessariamente genitori, siamo figli e questa cosa non cambierà mai a qualsiasi età” continua Diletta Borrello.
In scena Lele e Nina – interpretati con intensità e delicatezza da Adriano Fichera e Giulia Rizzo – si incontrano sotto un vecchio ciliegio, lo stesso albero condiviso nei ricordi, nel cuore, sul terrazzo condominiale che è spazio reale e simbolico. La narrazione si sviluppa tra parole e silenzi, tra la musica di una chitarra e il suono sottile della nostalgia, con una regia capace di trattenere l’enfasi e lasciare spazio all’emozione autentica.
“Ci siamo regalati qualcosa – afferma Adriano Fichera -; è uno di quegli spettacoli che, anche quando hai dieci anni di esperienza alle spalle, ti costringe a uno studio su te stesso che, vuoi o non vuoi, ti cambia. Nel mio piccolo, nonostante in casa mia non viva una situazione come quella portata in scena, ho rivisto il rapporto con mia madre nell’importanza del parlarsi, dell’ascoltarsi, che tante volte a noi figli sfugge perché spesso pecchiamo di presunzione.”
“A volte ci dimentichiamo del loro amore, lo diamo per scontato e forse serve una rappresentazione del genere per ricordarci che quello che ci danno è importante, delle persone che sono state, che sono tuttora. È uno spaccato di vita, è un qualcosa di talmente realistico, nella sua fantascienza, che ci ha messo alla prova, non si è semplicemente trattato di recitare delle battute da personaggio, ma le abbiamo sentite dentro di noi. Sicuramente è stato un viaggio cominciato dal primo giorno di prove e credo che ne siamo usciti tutti, sia noi attori che gli autori, cambiati”, ci confessa Giulia Rizzo.
Il lavoro si distingue per la sua capacità di affrontare temi universali – il tempo, la memoria, la genitorialità, le scelte – con uno sguardo giovane ma mai superficiale. C’è poesia, ma non retorica. C’è tenerezza, ma non sentimentalismo. Il dialogo tra madre e figlio, quasi alla pari, si muove tra leggerezza e profondità, lasciando al pubblico una domanda da portare via: quanto ci conosciamo davvero, noi e chi ci ha messi al mondo?
Sotto la supervisione artistica di Massimo Giustolisi e Giuseppe Bisicchia, Quel nostro albero in fiore chiude con eleganza e intensità la stagione teatrale, confermando la rassegna “Giovani Sguardi” come uno spazio necessario per dare voce a nuove scritture e visioni.
Una pièce grande per cuore e ambizione. Un incontro – reale, immaginario, teatrale – che lascia qualcosa dentro anche al pubblico che ha risposto entusiasta con scroscianti applausi e sinceri complimenti a fine spettacolo.