Lo Bello, impegno civile, garbo e cultura: le sue stelle polari

- Pubblicità -

Incontrai Ivan Lo Bello per la prima volta nel 1996, dopo la sua nomina nel Consiglio di amministrazione della CRIAS, del quale io facevo già parte.

Allora a colpirmi furono il suo modo pacato di ragionare, la sua disponibilità all’ascolto, il rispetto della professionalità dei funzionari dell’Ente e la gentilezza con la quale si rivolgeva alle persone più umili.

Tra di noi nacque subito una simpatia, una sorte di feeling che si tramutò in una stretta collaborazione, in un’intesa che consisteva in un patto: chi di noi due sarebbe arrivato per primo alle riunioni del Consiglio di amministrazione doveva assumersi l’onere di esaminare le pratiche di finanziamento e proporre agli altri componenti, e ovviamente al presidente, l’approvazione o la bocciatura.

Dopo quella esperienza, segnata da reciproca fiducia, lo reincontrai dopo qualche anno, quasi casualmente, alla Camera di commercio di Siracusa dove presentavo una delle mie prime pubblicazioni (“Passe- Partout per Intraprendere“), insieme a Pippo Gianninoto.

Un nostro comune amico con il quale, negli anni a venire, avremmo condiviso tante iniziative sullo sviluppo del Sud-Est della Sicilia e per attutire gli effetti della riforma della pubblica amministrazione sul sistema delle camere di commercio.

Benché Ivan fosse già presidente della Confindustria di Siracusa, e si fosse fatto notare per la sua spiccata intelligenza e lungimiranza, nè Pippo nè io pensammo di coinvolgerlo nella presentazione.

Io cercai di scusarmi di quella “dimenticanza“, ma lui mi bloccò subito dicendo che si sarebbe fermato e avrebbe seguito la presentazione, perché era curioso di sapere quali novità conteneva la pubblicazione.

Chiese solo di non essere chiamato al tavolo della presidenza e di poter seguire la discussione seduto in platea, fermandosi sin quasi alla conclusione di quell’evento.

Successivamente, in particolare dopo la sua elezione al vertice della Confindustria Siciliana e della battaglia intrapresa contro il racket del pizzo e la mafia, lo incontravo di tanto in tanto in qualche convegno o manifestazione a Palermo e a Catania.

Ogni volta, dopo aver bevuto insieme un caffè e scambiato qualche chiacchierata, ci lasciavamo con l’impegno di rivederci per parlare delle novità politiche, cosa però che si verificò solo un paio di volte.

In uno di questi incontri, in verità non programmato, finimmo con il parlare della crisi dei partiti e della democrazia, e della Costituzione degli Ateniesi di Aristotele, della quale Ivan ricordava a memoria anche le virgole.

I nostri rapporti si fecero più intensi dopo la mia nomina alla presidenza della Sac, la società di gestione dell’aeroporto, voluta anche e soprattutto da lui.

Ciò nonostante, qualche giornale online, una volta diffusa la notizia che mi riguardava, tentò di imbastire una campagna contro l’idea che un rappresentante degli artigiani potesse ricoprire un incarico di quel tipo.

Durante quella esperienza ricordo il suo rigore morale, la profondità dei suoi ragionamenti e la lungimiranza nell’affrontare la questione della privatizzazione dello scalo; e gli inviti costanti ad evitare le ingerenze dei partiti nelle assunzioni e nelle promozioni.

Lo Bello poteva ambire a fare il parlamentare, il ministro, il presidente della Regione. Tutte cariche – come risulta al sottoscritto – che gli furono proposte sia dalla destra che dalla sinistra, ma che rifiutò sempre.

Non per una presunta superiorità morale della società civile rispetto alla politica, bensì perché credeva nell’etica della responsabilità, nel valore sociale dell’impresa e nel ruolo dei corpi intermedi, che lui con le sue iniziative aveva contribuito a risvegliare dal torpore nel quale tanti erano caduti, rivitalizzando l’associazione da lui guidata.

Perché, nelle società complesse come la nostra, i corpi intermedi, oltre ad essere gli unici soggetti in grado di coniugare interessi individuali o di categoria con gli interessi generali, sono anche essenziali per la tenuta democratica del Paese.

Lo Bello era apprezzato da quelli che ebbero la possibilità di conoscerlo anche per la fermezza dei suoi principi, per la determinazione con cui difendeva le sue idee e i suoi convincimenti (anche quando sapeva di suscitare reazioni non proprio benevole), e per il coraggio di rischiare qualcosa e, quando forse era più conveniente, tacere.

Ricordo un altro tratto della sua personalità che non potrò mai dimenticare. Lo colsi il giorno nel quale gli fu comunicato di essere indagato dalla Procura di Potenza. Un colpo durissimo, perché non immaginava neppure lontanamente di ricevere dalla giustizia, da quella giustizia nella quale credeva ciecamente, un colpo così devastante.

Eravamo davanti alla Tavernetta, dove di solito il sabato ci vedevamo insieme ad altri amici per parlare di sviluppo, politica, cinema, dell’ultimo saggio o dell’opera dello scrittore X o Y. Appena lesse la notizia sul telefonino cambiò colore e ammutolì, si chiuse in un silenzio carico di dolore e amarezza, non reagì come fanno in tanti dando la colpa ai magistrati.

Tentammo di convincerlo a ragionare su come fosse più opportuno reagire, ma fu inutile.
Oggi, ricordando la sua espressione stravolta, la sofferenza e l’amarezza che si percepiva da ogni suo movimento, non posso fare a meno di pensare che quell’iniziativa giudiziaria (che si concluse dopo un anno con l’archiviazione) forse ebbe l’effetto di accelerare quella malattia che già allora, sia pure timidamente, cominciava a manifestarsi.

Ecco, per me, Ivan non è stata solo la persona garbata, elegante, colta, impegnata sul fronte della moralità della vita pubblica e della lotta contro la mafia, di cui hanno parlato quasi tutti i media in questi due giorni. È stata una persona a cui ho voluto molto bene, soprattutto perché sapeva mettersi alla pari del suo interlocutore, chiunque egli fosse, sia che si trattasse di un uomo potente o di un umile lavoratore.

Ad alcuni lettori questo mio scritto potrà sembrare eccessivamente elogiativo, e forse lo è, ma è ciò che mi detta la ragione rispetto al suo spessore umano.

Una persona che avrebbe potuto dare ancora molto a questa nostra terra, se la malattia prima, e la morte dopo, non l’avessero stroncato prima del tempo, sottraendolo all’affetto delle persone più care e ai suoi molti amici ed estimatori.

- Pubblicità -

Salvatore Bonura

- Pubblicità -