Salve a tutti e ben ritrovati nella rubrica di Hashtag Sicilia “Così è (se vi pare)”.
Questa sera parlerò di una questione un pò ostica, che da un paio di mesi tiene banco: i dazi introdotti da Donald Trump nei confronti dei prodotti di tanti paesi, Cina in testa.
Dazi prima messi, dopo sospesi o tolti, e poi di nuovo rimessi.
Una situazione di incertezza che mette a rischio un punto di Prodotto interno lordo mondiale, perché i dazi potrebbero ridurre il commercio internazionale del 5 per cento.
La stessa crescita globale, secondo l’OCSE (Organizzazione per la cooperazione lo sviluppo economico), risentirebbe di questa situazione scendendo dal 3,3% del 2024 al 2,9% nel 2025; e quella statunitense si prevede che scenderà dal 2,2% all’1,6 %, risultando la più penalizzata.
Una grande incertezza che si è trasformata in caos della politica commerciale americana, anche per l’inaffidabilità dei provvedimenti adottati dal presidente statunitense che prestano il fianco a impugnative e a ricorsi, in considerazione del fatto che non sono allineati alle regole in vigore negli Stati Uniti.
Provvedimenti che vengono bloccati dai giudici perché in materia di dazi e tasse le competenze in base alla Costituzione americana non sono del presidente, bensì del Congresso.
Ecco perché il Tribunale del commercio internazionale ha dato ragione all’importatore di vini che ha intentato la causa contro i dazi di Trump; una decisione, c’è da dire però subito sospesa dalla corte d’appello del distretto federale.
Il Tribunale del commercio internazionale ha dato ragione all’importatore, nonostante Trump abbia invocato l’International Emergency Act, vale a dire l’emergenza nazionale, gli interessi americani; questo perché il vino Made in Italia è un moltiplicatore di valore aggiunto USA: si calcola che 1 dollaro investito per acquistare vino italiano genera altri 4,5 dollari di fatturato lungo la catena distributiva del vino e degli alcolici.
Un guadagno che spesso è superiore a quello degli stessi produttori italiani.
Quindi, detto in parole povere: i dazi non danneggiano solo i prodotti dei paesi che li subiscono, danneggiano anche l’economia del Paese che li mette.
Infatti, quello che secondo Trump doveva essere “il giorno della liberazione“ degli americani, a scapito degli altri Paesi che dovrebbero pagare il costo di questa ipotetica ripartenza, si è trasformato in una beffa.
Visto che i risultati sono stati: la sofferenza del dollaro, il mancato abbassamento dei tassi da parte della banca centrale americana, il costo del debito pubblico che è di gran lunga superiore alla spesa per la difesa.
Quindi il progetto trumpiano di riequilibrare la bilancia commerciale attraverso i dazi si è rivelato semplicemente impossibile.
Ciò non solo perché il deficit impressionante del commercio estero deriva dalla struttura stessa dell’economia americana, in cui i consumi privati raggiungono una percentuale enorme (il 68 %, mentre sono del 52 % in Europa e del 38 % in Cina), ma anche perché da decenni si assiste alla fuga delle multinazionali americane verso i Paesi a basso costo del lavoro.
Comunque, questa altalena di decisioni provoca già un danno enorme perché in una situazione di incertezza nessun imprenditore dotato di un minimo di buon senso può programmare qualcosa, nè tantomeno decidere di fare nuovi investimenti.
A tutto ciò ovviamente si aggiungono gli effetti sui prodotti interessati dai dazi e, più in particolare, sulle aliquote di queste tariffe.
Dazi che se introdotti penalizzeranno anche l’Italia, in particolare le Regioni che esportano di più negli Stati Uniti e quelle che hanno un minore indice di export diversificato.
In concreto quelle più penalizzate sarebbero le regioni del Sud, perché presentano una bassa diversificazione dei prodotti venduti nei mercati esteri.
Pertanto se dopo l’acciaio, l’alluminio e i loro derivati gli USA, e a catena gli altri Paesi del mondo, decidessero di innalzare le barriere commerciali anche ad altri beni gli effetti negativi per il nostro sistema produttivo potrebbero abbattersi maggiormente nei territori dove la dimensione economica dell’export è fortemente condizionata da pochi settori merceologici.
La regione più a rischio è la Sardegna, che ha l’indice di diversificazione peggiore (95,6 %), dove domina l’export dei derivati della raffinazione del petrolio. Seguono il Molise (86,9%) caratterizzato da un peso particolarmente alto della vendita dei prodotti chimici/materie plastiche e gomma, autoveicoli e prodotti da forno; e la Sicilia (85 %), che presenta una forte vocazione nella raffinazione dei prodotti petroliferi.
Le Regioni meno coinvolte, ovvero quelle che parrebbero rischiare di meno, sono: la Lombardia, il Veneto e – con riferimento al Sud – la Puglia, perché questi territori hanno un indice di diversificazione rispettivamente del 43% – 46,8% – 49,8%. Insomma, da questi dati capiamo che le regioni che diversificano maggiormente i propri valori merceologici hanno un vantaggio: ne è la dimostrazione la regione Puglia.
Comunque, per dare un quadro della situazione dico subito che le vendite dell’Italia all’estero nel 2024 hanno toccato 623.508,7 miliardi di euro, in calo rispetto al 2023 in valori assoluti di 2,5 miliardi di euro e in valori percentuali dello 0,4%.
La Sicilia invece nel 2024 ha esportato per 13 miliardi e 176 milioni di euro; in calo di 1 miliardo e 199 milioni di euro (8,3 %) rispetto al 2023.
Le province siciliane che esportano di più sono nell’ordine: Siracusa 7.537,6; Catania 2.098,1; Messina 1.535,1. Seguono tutte le altre province.
Sempre con riferimento al confronto 2024-2023 le province che fanno registrare perdite significative sono nell’ordine Siracusa (-12,2 %), Catania (-11,1 %), Caltanissetta (- 14,1 %), Agrigento (-6,2 %); quelle invece che hanno registrato un incremento nelle esportazioni sono Enna (+ 29%),Trapani (+16,8%), Palermo (+13,6%), Ragusa (+ 3%), Messina (+ 1,8%).
Concludendo questo focus sull’ export siciliano si può dire che se i dazi di Trump coinvolgeranno anche i prodotti agroalimentari la Sicilia sarà doppiamente penalizzata, visto che le province che hanno fatto registrare le migliori performance sono quelle che esportano prodotti agroalimentari.
Qualcuno si chiederà: gli artigiani e gli autonomi che rischi corrono con i dazi?
Sulla carta sembrerebbe che non dovrebbero correre eccessivi rischi, perché gran parte delle partite IVA non operano direttamente con i mercati stranieri e soltanto una fetta ristretta è attiva nelle filiere produttive coinvolte nelle esportazioni; tuttavia, laddove le misure protezionistiche introdotte dal presidente Trump dovessero causare un rallentamento della crescita economica e un aumento dell’inflazione anche nel nostro paese, gli artigiani e le categorie autonome più fragili potrebbero essere seriamente danneggiati.
Che fare dunque se vogliamo che questa politica dei dazi non danneggi l’Europa e quindi anche l’Italia?
Lo scopriremo insieme questa sera! Non ci resta che darvi appuntamento alle ore 20.00 con la nostra prima visione trasmessa sulla nostra pagina Facebook, sul nostro canale Youtube, e sui nostri altri canali social. Non mancate!