Piano dei servizi Sociosanitari, il punto di Confcooperative. “Se non cambia, a rischio l’assistenza in Sicilia”

Disabilità bambini
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Un complesso quadro normativo, che deve coniugare le leggi nazionali e quelle regionali per non mettere a rischio l’assistenza garantita dalle strutture sociosanitarie. Questa, in estrema sintesi, l’analisi compiuta da Confcooperative Sicilia sul Piano delle Azioni e dei servizi Sociosanitari e del sistema unico di accreditamento dei soggetti che erogano prestazioni socio-sanitarie”. Il documento è attualmente è al vaglio della VI Commissione legislativa dell’Assemblea Regionale Siciliana, e deve far conto anche dell’aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza, i cosidetti LEA, inseriti in Gazzetta ufficiale solo pochi giorni fa, il 18 marzo. Di seguito l’approfondita analisi sul tema a cura di Assunta Galluzzo, componente del consiglio di presidenza di Confcooperative Sicilia.

Pur costituendo un apprezzabile sforzo – afferma Galluzzo nella sua analisi -, il Piano delle Azioni e dei servizi Sociosanitari e del sistema unico di accreditamento dei soggetti che erogano prestazioni socio-sanitarie” se non modificato in alcuni aspetti essenziali, potrebbe mettere a repentaglio l’assistenza socio-sanitaria nella nostra Regione. Per inquadrare correttamente la questione, occorre preliminarmente accennare alle previsioni normative in questa delicata materia, che coinvolge diritti costituzionalmente tutelati, come quello alla salute (art. 32 Cost.) e alla solidarietà sociale (art. 2 Cost.) e riguarda categorie sociali fragili come i malati, i disabili e gli anziani.

Occorre precisare che l’integrazione socio-sanitaria nel nostro Paese è disciplinata in modo strutturato dalla legge-quadro n. 328 del 2000, che identifica in modo puntuale gli attori che devono intervenire a realizzare in concreto le attività di assistenza, secondo una scelta che sposa il modello dell’integrazione c.d. socio-sanitaria, ovvero dell’integrazione tra il settore sociale e quello sanitario.

Lo Stato, le Regioni, i Distretti Socio Sanitari, (raggruppamenti di Comuni), le Aziende Sanitarie Provinciali e il terzo settore sono i protagonisti delle attività necessarie a realizzare l’assistenza, con precisa attribuzione di compiti da parte della legge-quadro n. 328/00.

Questa legge infatti attribuisce ai Comuni (art. 6) il compito di programmare gli interventi e di autorizzare e accreditare le strutture socio-sanitarie, nonché di contribuire economicamente, (unitamente allo Stato e alle Regioni), mentre alle Regioni (a parte la contribuzione economica) è demandato di stabilire i criteri di autorizzazione e accreditamento (art. 8).

Una notevole criticità è costituita però dal generalizzato inadempimento da parte dei Comuni, a parte pochi esempi virtuosi, alla cruciale funzione di programmazione loro attribuita, e che dovrebbe naturalmente essere preceduta da una attenta analisi del fabbisogno dei territori.

Quanto descritto a cascata produce una paralisi del sistema, poiché i fondi messi a disposizione dallo Stato attraverso la previsione di un Fondo sanitario nazionale, non sono impegnati e non vengono quindi erogati dai Comuni alle strutture che garantiscono l’assistenza agli anziani, ai minori, ai disabili e ai soggetti fragili.

Questa situazione genera ovviamente ingenti notevoli situazioni debitorie che si riverberano in contenziosi tra le comunità-alloggio e i Comuni per il recupero delle somme dovute. 

A livello regionale le “Linee guida per l’attuazione del Piano socio-sanitario della Regione siciliana”, contenute nel DPRS del 4 novembre 2002, forniscono un quadro completo del sistema già efficacemente delineato dalla legge-quadro 328/00.

La Regione siciliana e i 55 Distretti Socio Sanitari dovrebbero quindi limitarsi ad applicare gli strumenti normativi esistenti, sia a livello nazionale che regionale, ai fini della realizzazione dei servizi integrati socio-sanitari.

Recentemente è stato emanato, da parte della Presidenza del Consiglio dei Ministri, un Decreto, (DPCM 12/01/17), in continuità con il precedente DPCM 14/02/01, contenente la definizione e l’aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza, i c.d. LEA.

Questo decreto, all’art. 34, in materia di comunità-alloggio residenziali e semi-residenziali, prevede la contribuzione economica dei Comuni in primis, stabilendo inoltre che, quando la disabilità è gravissima, anche il Fondo sanitario contribuisce a sostenerle economicamente.

Il “Piano delle Azioni e dei servizi Sociosanitari e del sistema unico di accreditamento dei soggetti che erogano prestazioni socio-sanitarie” proposto all’esame della VI Commissione parlamentare presenta invece una difformità dalle previsioni relative ai nuovi LEA (art. 34) laddove all’interno dellArea “Disabilità”, pone le prestazioni erogate, relativamente all’ambito degli interventi residenziali con presenza degli operatori h24, a totale carico del Fondo Sanitario, escludendo quindi la partecipazione economica da parte dei Comuni, prevista invece dal documento che contiene i nuovi LEA.

Un’altra criticità rilevata all’interno del nuovo Piano sta nella previsione, all’interno della “Linea Pilota 6, Area salute mentale”, di Gruppi Appartamento sostegno abitativo (per il ricovero di soggetti disabili) per un massimo di n. 4 utenti, con la definizione di standard strutturali e organizzativi molto rigidi, tali da rischiare di ridurre il gruppo appartamento ad una realtà assimilabile ad una comunità di dimensioni ridotte, vanificando quindi l’obiettivo di “normalità” insito nel tipo di struttura stesso.

I gruppi appartamento, infatti, (definiti in altre Regioni “Residenzialità Leggera”), sono quanto di più prossimo ad una dimensione di normalità e quindi, come tali sono situati in contesti urbani e devono avere la caratteristica di estrema flessibilità, tanto che l’impegno del personale (e la tipologia delle professionalità) vanno definiti in base alla condizione specifica della persona inserita nell’appartamento e, dunque, non “a priori”. 

Con riferimento infine alle Linea Pilota 6, Area salute mentale, il documento, fin dal suo approccio, rivela uno sbilanciamento verso la parte sanitaria. 

Viene infatti del tutto trascurata all’interno del proposto Sistema unico di accreditamento l’esistenza di strutture, previste normativamente dalla legge regionale n. 22/1986, art. 26, quali le Comunità alloggio per disabili psichici, che attualmente garantiscono sul territorio l’erogazione dei servizi con prestazioni socio-assistenziali da ritenersi prevalenti rispetto alle prestazioni sanitarie.

Se si finisse con l’attribuire la competenza esclusiva all’erogazione dei servizi alle strutture sanitarie, richiedendo alle strutture socio-assistenziali di cui sopra, (comunità- alloggio), requisiti strutturali, economici e manageriali diversi da quelli che la legge n. 328/00 richiede loro, si finirebbe per decretarne la fine, escludendole dal riparto delle risorse e legittimando inoltre i Comuni a sottrarsi alla loro doverosa contribuzione economica (art. 4 legge n. 328/00 che prevede l’istituzione di un Fondo per le politiche economiche e sociali gestito in esclusiva dai Comuni).

Tutto ciò risulterebbe, altresì, in netto contrasto con la previsione dell’art. 11, comma 2 della legge 328/00, che regolando l’attività delle strutture esistenti alla data dell’entrata in vigore della stessa legge, prevede il rilascio di una autorizzazione provvisoria da parte dei Comuni e la fissazione di un termine per l’adeguamento ai requisiti nazionali da parte delle Regioni, nonché un periodo transitorio che permetta la riqualificazione del personale esistente, a tutela, quindi, degli attuali occupati.

Occorre dunque un costruttivo confronto sulla tematica dell’integrazione socio-sanitaria tra tutti gli attori, (sia istituzionali che del privato sociale), in modo da portare ad una sintesi coerente con il panorama nazionale e tale da costituire una garanzia di reale ed efficace assistenza ai soggetti più fragili”.