Il diabete nei bambini, tra promesse e burocrazia

I piccoli pazienti devono fare i conti con una malattia autoimmune dalla quale non si guarisce, che richiede cure e controlli continui. Ma non mancano le difficoltà quotidiane causate anche dalle istituzioni

Diabete giovanile
Foto di Erin Stevenson O'Connor. CC License

Il diabete è un mondo complicato. Per le famiglie ha lo stesso impatto di un lutto non elaborato: si è davanti a una malattia cronica, che si dovrà affrontare per il resto della vita“.

Fabio Badalà è presidente dell’Associazione per l’aiuto a giovani e bambini con diabete Sicilia, ente che supporta chi deve affrontare una condizione tanto nota in età adulta quanto pericolosa per i piccoli che sono affetti da questa patologia. I quali subiscono anche le promesse della politica e le stranezze della burocrazia.

Rispetto al diabete che colpisce gli adulti è più insidioso – afferma Badalà – Ha carattere autoimmune e non esiste alcuna prevenzione che possa scongiurarlo“. Per questo motivo la formazione, sia dei pediatri che di ogni genitore, è fondamentale. “È importante per conoscere i sintomi all’esordio e scongiurare i rischi, tra i quali c’è anche il coma. Gestire la cura fin dall’inizio riduce i rischi di complicanze del 60 per cento“.

Il piano nazionale sul diabete ha un ampio capitolo dedicato all’età pediatrica e la Regione Sicilia è stata tra le prime ad averlo recepito. Il decreto è stato firmato nell’agosto del 2013 dall’allora assessora alla Salute Lucia Borsellino. La normativa ha creato quattro centri regionali specializzati, uno dei quali si trova nel Policlinico di Catania. Un ambulatorio che deve sostenere un carico di lavoro a dir poco insostenibile: “C’è un solo medico per 450 bambini – puntualizza Fabio Badalà – La psicologa e la dietista, due figure introdotte dal piano, lavorano su base volontaria“.

Anche sul fronte dei presidi la situazione non è altrettanto semplice.

Il Sistema sanitario nazionale e la Regione potrebbero risparmiare con dei sensori di ultima generazione“.

Quello più utilizzato “lo ordiniamo in Francia e costa 130 euro per 28 giorni“. Il lettore analizza i livelli di glucosio nel sangue senza bisogno di dover pungere le dita di bambini e ragazzi per raccogliere il sangue utile alla microrilevazione. “Mediamente ogni mese si usano almeno 250 striscette che hanno un costo maggiore rispetto al sensore“. Oltre a evitare il continuo disagio di un piccolo prelievo. “A ottobre abbiamo scritto una lettera alla Regione; a novembre l’assessore Baldo Gucciardi si è detto convinto, aveva promesso che il sensore sarebbe stato introdotto, ma siamo a febbraio e ancora non ne sappiamo nulla“, commenta il presidente dell’Agd.

E se le innovazioni tardano a essere adottate, paradossali inconvenienti possono accadere con i dispositivi già utilizzati.

L’anno scorso l’Asp di Catania non ha più distribuito i microinfusori“.

Si tratta di un dispositivo salvavita, una pompa di insulina che si comporta nella stessa maniera del pancreas ed eroga delle piccolissime dosi di insulina durante tutto il giorno. “C’è stato un problema burocratico con il bando di gara per l’acquisto – racconta Badalà – Abbiamo mandato delle diffide e l’allarme è rientrato, ma è stata una disorganizzazione che ha avuto ricadute pesantissime sui nostri figli“.

Il cammino dell’Agd ha inizio nel 1994. “Noi facciamo parte di un coordinamento nazionale, l’associazione nasce per dare aiuto alle famiglie soprattutto agli esordi del diabete, è un momento delicato“. Quando è entrato per la prima volta a contatto con la malattia, il figlio di Badalà aveva cinque anni. “Dal punto di vista psicologico, sia per i piccoli che per le famiglie si tratta di una situazione drammatica – descrive – La giornata tipo non conosce sosta: si fanno almeno cinque iniezioni di insulina al giorno, più tutti i controlli della glicemia“. E qualsiasi variabile rischia di complicare ulteriormente il quadro. “È sufficiente una banale influenza o un mal di stomaco. Anche un semplice capriccio – sottolinea – Come si fa a spiegare a un bambino di due o tre anni che deve per forza mangiare per poter fare l’insulina?“.

Per una condizione del genere la cosa più importante è acquisire autonomia, nella vita quotidiana così come a scuola. L’associazione organizza anche dei campi nei quali vengono svolte attività con personale medico. La presenza di un malato di diabete in tenera età fa sì che “l’intera famiglia diventi diabetica – conclude tra il serio e il faceto Fabio Badalà – È un’opportunità per tutti per cambiare lo stile di vita, fare maggiore attenzione all’alimentazione e all’attività fisica. Ma nonostante tutto, sei sempre davanti a una malattia che non ha una cura e con la quale si dovranno fare i conti per sempre“.