Coronavirus, parla lo psicologo: “L’epidemia ci ha restituito l’attitudine alla civiltà”

    Foto tratta da Il Messaggero (www.ilmessaggero.it)

    L’emergenza coronavirus sta cambiando le nostre abitudini e nello stesso tempo ha smantellato le nostre sicurezze. Ma quello che gli italiani stanno dimostrando, in termini freudiani, è una immensa attitudine alla civiltà, dove ognuno, con grande coraggio e umiltà, sta trasformando le proprie pulsioni egoistiche in sociali.

    Se in un primo momento ci eravamo fatti prendere tutti quanti dal panico (azioni sconsiderate, fughe dalle zone rosse, assalti ai supermercati etcc…), con il passare dei giorni, ogni singolo cittadino ha lasciato cadere parte del proprio egoismo per una causa più grande: la salute e il rispetto dell’intera comunità.

    E stamattina, mentre andavo a fare la spesa al supermercato, osservavo con ammirazione quella fila, composta e ordinata, di persone che in silenzio e senza avere paura di dimostrare la paura, indossando guanti e mascherine, attendevano il loro turno per entrare a fare la spesa, il tutto rispettando i nuovi tempi lenti e il lavoro degli addetti alle vendite.

    Il nuovo vocabolario sì è arricchito di una terminologia che pensavamo fosse ormai non necessaria alla moderna società, e la prima parola che mi viene in mente è la competenza: quella dei medici e di tutto il personale sanitario che in prima linea sta combattendo questa battaglia contro un nemico invisibile e sconosciuto; ma anche parole come condivisione, rispetto, cura, adottate da ogni singola persona.

    In questo glossario emergono anche parole che da tempo stentavano a decollare, e mi riferisco alle svariate forme di smart working che molti lavoratori stanno sperimentando. L’altra parola che invece è stata più dolorosa da adottare è l’isolamento: non avremmo mai immaginato di stare chiusi a casa, evitare gli spostamenti, uscire da tutti quegli imperativi che la società moderna ci aveva inculcato (volere è potere, tutto e subito, life is now, godi, divertiti etcc…).

    Un’altra considerazione che ci tengo a sottolineare è il forte legame sociale che si è instaurato nella comunità italiana. Abbiamo capito la gravità della situazione, solo quando siamo stati capaci di portare avanti un processo d’identificazione con le comunità che già erano state infettate dal virus, ci siamo così identificati con i cittadini di Codogno, con la Lombardia, con il Nord, con i medici, con gli infermieri, con le persone in terapia intensiva, fino a identificarci con tutta la nazione che combatte in prima linea questa pericolosa battaglia.

    Ed è questo forte legame sociale che sta generando nuove forme creative di resistenza (flash mob dai balconi, striscioni arcobaleno disegnati dai bambini, yoga nelle terrazze etcc…). E se con il corpo siamo fermi e paralizzati, le nostre menti continuano a sperimentare nuove forme di connessioni attraverso il virtuale, si nutrono di letture che da tempo aspettavano pazienti negli scaffali delle nostre librerie.

    Ci siamo così resi conto che il coronavirus Covid-19 può arrivare ovunque e può contagiare chiunque, siamo impotenti di fronte a questa pandemia, ma non abbiamo paura di avere paura, e accettiamo così la paura, non ci vergogniamo di indossare una mascherina e di essere fragili e vulnerabili.

    E allora, oggi più che mai, ci può essere utile quella capacità negativa di cui parla la psicoanalisi, ovvero: Quella capacità che un uomo possiede di perseverare nelle incertezze attraverso i misteri e i dubbi, senza lasciarsi andare a un’agitata ricerca di fatti e ragioni”.