Falsi braccianti, 17 indagati per truffa e associazione a delinquere

Le forze dell'ordine hanno smantellato un sistema grazie al quale 500 persone avrebbero ottenuto in maniera irregolare l'indennità di disoccupazione agricola, in alcuni casi con l'aggravante del metodo mafioso

guardia di finanza

La Guardia di finanza ha smantellato un sistema grazie al quale centinaia di persone avrebbero ottenuto in maniera irregolare l’indennità di disoccupazione agricola, in alcuni casi con l’aggravante del metodo mafioso. Le fiamme gialle hanno eseguito stamattina ordinanze di custodia cautelare nei confronti di 17 persone. Tra loro ci sono un ragioniere, un dipendente dell’Inps e tre presunti appartenenti al clan Laudani.

I falsi braccianti sarebbero circa 500, per almeno una decina di aziende “fantasma” create con il solo scopo di percepire i contributi pubblici. I fondi ottenuti illecitamente ammonterebbero a quasi un milione e mezzo di euro.

Le accuse nei confronti degli indagati sono a vario titolo di truffa ai danni dello Stato e corruzione. L’operazione, denominata “Podere mafioso“, ha preso il via alle prime luci dell’alba; le indagini sono partite nel 2014 e si sono concluse nel dicembre 2016.

Secondo gli inquirenti, a capo dell’organizzazione ci sarebbe Leonardo Patanè, conosciuto come “Nardo Caramma“, con precedenti per droga e ritenuto affiliato ai Laudani. Coinvolti nell’operazione odierna anche i suoi familiari; la moglie Daniela Wissel e i figli Orazio e Ramona si trovano adesso ai domiciliari. Ruoli di spicco avrebbero avuto Giovanni Muscolino e Antonio Magro, che sarebbero a capo dei gruppi rispettivamente di Giarre e Paternò della stessa consorteria mafiosa.

A fornire un contributo determinante alla truffa sarebbe stata l’apporto dei “tecnici”. Si tratta di ragionieri, periti commerciali e anche un funzionario dell’Inps di Giarre, Filippo Bucolo, posto ai domiciliari. Quest’ultimo, in cambio di soldi, avrebbe informato Patanè dell’ammontare delle liquidazioni e avrebbe curato le pratiche che lo riguardavano. Alfio Lisi, ragioniere, avrebbe avuto il compito di costituire le aziende agricole, assumere i falsi braccianti e preparare le relative buste paga. Il suo compenso: 800 euro la settimana e una macchina.

Tra gli indagati ci sono anche i reclutatori dei falsi braccianti, che avrebbero avuto il compito di recuperare anche con la violenza almeno metà delle indennità. Cifre che si aggiravano tra i tremila e i settemila euro all’anno, utilizzate per il funzionamento dell’organizzazione. Si tratta di Michele detto “Franco” Cirami, Vincenzo Cucchiara, Agatino Guarrera, Francesco Gallipoli, Fabrizio Giallongo, Ettore Riccobono, Claudio Speranza e Vincenzo Vinciullo e il loro “coordinatore” Carmelo Tancredi.