I cinquant’anni dell’Accademia italiana della cucina a Ragusa

RAGUSA – Cinquant’anni di presenza sul territorio. Sono quelli festeggiati dalla delegazione di Ragusa dell’Accademia italiana della cucina, l’istituzione culturale che punta alla tutela della tradizione gastronomica nazionale, al suo miglioramento e alla sua promozione in Italia e all’estero grazie a circa 7mila associati e a numerosissime delegazioni non solo in Italia ma in tutti i continenti. In questo senso, anche la realtà iblea vuole dimostrare la propria attenzione al patrimonio enogastronomico ed alle sue radici e il fatto che abbiamo raggiunto il traguardo del mezzo secolo di vita testimonia come questo percorso sia stato portato avanti con grande attenzione. 

 

L’evento celebrativo, guidato dall’attuale responsabile della delegazione, Vittorio Sartorio, ha da un canto ripercorso le tappe fondamentali dell’impegno accademico in provincia di Ragusa: dai «padri» fondatori del 1967 alle figure di importanti soci, come il gastronomo e ricercatore Giuseppe Coria, ai delegati nel frattempo succedutisi (Gioacchino Consalvo Bertini, Domenico Arezzo di Trifiletti, Giovanni Japichino, Francesco Milazzo, Vittorio Sartorio). 

 

Il Teatro Donnafugata di Ragusa Ibla ha ospitato il convegno su «L’enogastronomia iblea: le eccellenze e i suoi ambasciatori». Sono intervenuti autorevoli esperti nei campi caseario con Giuseppe Licitra, oleario, con Giuseppe Cicero, vitivinicolo, con Massimo Maggio, e della ristorazione con Giuseppe Barone della Fattoria delle Torri. Le conclusioni sono state affidate al vicepresidente nazionale dell’Accademia, Mario Ursino. Per l’occasione sono stati conferiti due riconoscimenti accademici, quali i premi intitolati a Giovanni Nuvoletti e a Dino Villani, a «Le Soste di Ulisse» e a «Hiblasus» di Mario Bella. Numerosi i presenti, erano infatti rappresentate le delegazioni di Modica, Siracusa, Catania, Caltanissetta, Palermo, Enna e Caltagirone. Particolarmente apprezzata la partecipazione di alcuni discendenti dei soci fondatori, come il barone Arezzo di Trifiletti, Umberto Schininà di Sant’Elia e Gioacchino Japichino.

di Giorgio Liuzzo